(E GLI IDIOTI DI SUCCESSO)
Data l’epoca e la differente struttura sociale contemporanea, per brevità e uso comune, adotterò il maschile unicamente riferendomi all’uomo come creazione dell’ “umanità”, alla natura umana o alla condizione di essere umano, dando un’accezione storica e d’utilizzo riassuntivo per indicare l’essere umano in generale, indipendentemente dal genere.
I concetti che si vogliono affrontare in modo solo divulgativo, vanno quindi accolti o meno, purchè intesi senza attribuzioni di pregiudizio o volontà di discriminazione.
Premesso ciò, sul tema dell’articolo occorre fare dei distinguo in quanto, il senso vero di questa identificazione, è stato storpiato nelle sue origini e nella sua etimologia. Ad esempio, agli albori era considerato Campione chi combatteva con energia e coraggio una nobile causa.
In Occidente, il concetto di campione spesso marca il successo individuale attraverso la competizione sportiva. Il campione è visto come la summa di eccellenze sportive. Un individuo al di sopra degli altri. Colui che svetta, da solo, in abilità e prestazioni.
La domanda da porsi è, a mio avviso, se trattasi di eccellenza nell’ambito delle sole skills professionali o anche altro?
In Oriente, si pone al proposito, più attenzione verso l’armonia e il valore della collettività. Un campione può essere apprezzato non solo per le sue abilità, ma anche per la capacità di integrare le sue competenze a beneficio del gruppo e della società. Ad esempio, in molti paesi asiatici, il valore del lavoro di squadra e dell’umiltà può essere altrettanto importante quanto il successo individuale. Nella terra del Sol Levante, colui che è più dotato, il più gentile, il più empatico, il più rispettoso delle difficoltà e del dolore dei suoi avversari è un YUSHOSHA.
INTERMEZZO NECESSARIO
BUSHIDO: il codice etico dei samurai (samurai significa “servire”), era centrato su valori come onore, lealtà e disciplina. Tutti raggiungibili in armonia, appunto, fra i vari membri dello Shogunato (da Shogun, un generalissimo sovrano che governava feudi attraverso forza militare, politica, diplomatica e operativa). Ecco che, nel Giappone antico (ma ne è rimasta influenzata ancora la moderna società nipponica), l’elevazione a Campione risente non solo delle capacità professionali di un tempo (e marziali) ma soprattutto quando questi risultati eccellenti e di squadra, incarnano un impegno profondo verso valori come onore, coraggio, lealtà e giustizia, in favore di tutta la società, in particolare a sostegno dei più deboli.
Campione lo si è quando ci si connette con tutte le cose. Molti valori elencati sopra, erano in linea con le credenze dello shintoismo (la via degli dèi); come pure il rispetto per la natura e l’importanza dell’armonia con il creato. Tutto.
Non si può trascurare, fortemente legato al concetto di Campione, la profondità culturale dell’inchino. In occidente visto invece di gran lunga piuttosto come atto di sottomissione o deferenza.
L’inchino dello YUSHOSHA e i suoi messaggi
Rispetto: è un modo di mostrare rispetto verso l’altra persona, sia che si tratti di una situazione formale che informale.
Scuse: gli inchini sono spesso usati per chiedere scusa, indicando sincerità e pentimento. (lo fa chiunque, con dignità e senza arroganza o presunzione di superiorità)
Gratitudine: si usa anche per esprimere ringraziamento in modo più profondo di una semplice parola.
Saluto: è un gesto comune di benvenuto o arrivederci.
I valori dello YUSHOSHA
Giustizia: prendere decisioni rette e corrette, anche di fronte alle difficoltà.
Coraggio : mostrare coraggio e audacia.
Benevolenza : compassione e gentilezza verso gli altri.
Rispetto : trattare tutti con rispetto e cortesia.
Onestà : essere sinceri e onesti nelle parole e nelle azioni.
Onore : mantenere l’onore personale e quello della famiglia.
Lealtà : fedeltà e devozione al proprio signore.
Direi quindi un modello a spiegazione del perchè, generalmente, la struttura sociale nipponica è maggiormente ispirata e spinta verso l’educazione civica, venendo presa ad esempio di civiltà. (Volendo ricordare al rumore del pensiero che sento di alcune/i che so benissimo siamo tutti perfettibili. Non è una esaltazione culturale, ma un fatto generale e saggio da considerare nel caso volessimo migliorare.)
Per citarne invece solamente “Uno” del nostro emisfero occidentale , rappresentativo e trasversalmente divenuto icona del ventesimo secolo per molti motivi (diritti civili, battaglie contro la discriminazione razziale); voglio ricordare Cassius Marcellus Clay, per protesta poi convertitosi e passato alla storia più conosciuta come Muhammad Alì.
Egli, fu uno dei pugili e atleti più talentuosi e carismatici del ‘900 non solo sul ring. Soprannominatosi THE GREATEST, con le sue iniziative coraggiose, mai affievolite per tutta l’esistenza e nonostante la gravissima malattia sorta presto si fece, da giovane, arrestare dichiarandosi disertore per non voler combattere in una guerra contro i suoi dichiarati fratelli Vietkong, in Vietnam; guadagnando per questo 5 anni di galera, perdendo diritti alla carriera, medaglie e titoli. Muhammad Alì è stato un YUSHOSHA. Amato, rispettato, temuto, ascoltato, empatico, protettivo, amico onorevole dei suoi avversari fuori dal ring. Riferimento di una comunità mondiale che all’epoca- da THE GREATEST- si sentiva rappresentata, riscattata, protetta e difesa.
Il problema è, a questo punto del secondo millennio, individuare chi può vestire i panni del Campione siffatto… dello YUSHOSHA.
Il Titolo è rilasciato oggi con molta più leggerezza a pseudo modelli che forse forse riflettono un bel po’ l’ imperante debolezza/assenza di valori e l’esponenziale aumento di palati uniformati e rassegnati a sapori sciapi.
In conclusione a questo brevissimo sunto di culture millenarie e personaggi che hanno fatto delle rivoluzioni intelligenti, etiche, civili, per i più, e culturali la propria testa di lupo Tolkieniana , sarebbe opportuno pesare bene le moderne attribuzioni di titoli a chi, unitamente al raggiungimento di fama, successo, danari e considerazione, non incarna il vero valore-significato della parola Campione; senz’altro non nel modo più alto e responsabile quale voleva essere il suo profondo senso quando i valori universali erano ancora motivo di rivoluzione pacifica, colta, e stella polare.
Di “idiòtes” di successo temporaneo (e distanti dai primordiali valori) ne siamo pieni. Sono spesso leoni di cartapesta. Incapaci di traslare un ruolo, nel quale si son trovati per varie congiunzioni astrali o circostanziali, in rappresentazioni ben più importanti dell’autosaltazione e del narcisismo. Raramente, e troppo raramente, vi si trova dentro un reale concreto contributo che possa ispirare, motivare e migliorare le generazioni a venire; se non le più sguarnite, abbagliate da Bias e superficiali.
“L’idiota” di Dostoevskij
“Non importa amare o odiare, fare il bene o fare il male, se ciò conduce inesorabilmente a commettere l’unico vero peccato, che è quello di distrarsi dal prossimo perché travolti dalla propria passione”.