YA MALANDRINI

di



Destino beffardo. Dalla gloria all’oblio.


Firmava i suoi lavori Ja, poi Ya, in realtà il suo nome era Lucia Annunziata Malandrini. Aveva un’indole estrosa e risentita, un’intelligenza pronta e vivace. Era nata a Colle Val d’Elsa nel 1902. La sua vita fu breve, morì a trentotto anni. Scrisse romanzi, novelle e poesie, una grande scrittrice dimenticata. La letteratura femminile ha potuto competere poco con quella maschile in quanto le donne sono state per lo più poetesse d’istinto. Nobildonne e massaie annotavano giorno per giorno le vicende della loro casa e alla fine fecero inconsapevolmente un’opera degna di memoria. Diffusero un senso di poesia e una schiettezza di linguaggio come nel caso di Ya che apparve per la prima volta sulla rivista mensile l’Eroica fondata da Ettore Cozzani negli anni 1911al 1921 e dal 1924 al 1944. Trattava di futurismo, di arte, letteratura e xilografia. Si rivolgeva a giovani talenti contemporanei sia italiani che europei. Aprì le porte anche a Ja pubblicandole dal 1934 al 1940 16 racconti, 11 tratti da La storia di una colpa. L’Eroica era una vetrina importante per gli artisti che avevano avuto il privilegio di uno spazio e ricordala sembra doveroso per far conoscere una produzione degna di quella fama concessa alle grandi scrittrici cui comunque appartiene. I suoi scritti sono ambientati a Colle Val d’Elsa dove si svolse parte della sua vita. Produsse una galleria di ritratti umani, vividi, incisivi. L’espressione linguistica aveva una forte coloritura regionalistica che la inseriva nell’area degli scrittori toscani inclini ad una continuità con la tradizione visibile soprattutto nei temi legati ai piccoli centri di provincia. “Se vuoi essere universale, affermava Grazia Deledda, parla del tuo luogo d’origine”, nobilitando quel regionalismo che non rappresentava un limite al raggiungimento delle vette della scrittura. Ya è una senese cresciuta nella sua terra, ha peregrinato per l’Italia, in Lombardia e in Sardegna. Figlia di un modesto impiegato, Ferruccio Malandrini e di Amalia Eugenia Corti di origini campane. La morte improvvisa del padre causò le difficoltà familiari che la costrinsero insieme ai fratelli e la madre a trasferirsi nella casa del vecchio zio “caffettiere” che lei ricorderà nel suo primo romanzo La storia di una ragazza indiavolata. I primi studi, la ricerca di un lavoro a Milano, nostalgia di Colle, ritorno, morte della madre, l’insegnamento elementare in Sardegna, le sue nozze nel 1933. Nuova vita, nuove sofferenze, unica consolazione la scrittura. Riuscì ad introdursi nel mondo letterario scrivendo su periodici sardi e continentali, poi i romanzi Vecchio scapolo, La storia di una colpa. Una lingua fresca e limpida. Si leggeva d’un fiato. Nel 1940 uscì il suo ultimo romanzo Il cuore d’argento e poi 27 racconti di memorie. Morì il 3 gennaio 1947. I Colligiani da lei immortalati nelle usanze, i modi di dire che dettero vita al bozzettismo toscano ben presto la dimenticarono. L’Eroica parlò di Ya come “fusione di ingenuità fanciullesca e di tragicità della vita, di inconsapevole umorismo che rende più sensibile la gravità dell’evento, prova di autentico ingegno”. “Narra a pezzi e bocconi, senza un programma definito ma così come il ricordo le si desta in uno stile fresco, schietto, ingenuo e stranamente efficace”. Il mondo che narra la Malandrini affonda nel dramma nascosto (le sciagure domestiche), il modo di raccontarle suscita sorriso e commozione. Immediato. Sincero. Rapido. Sensibile. Gli episodi si fissano nella mente. Ore di gioia calati in un’atmosfera di vita semplice, di umanità dolorosa ed anche di umorismo. Ai Collegiani si era rivolta con parole di accorata amarezza:” Alla gente del mio paese, abile a tirar pietre, difficile a perdonare” Nella novella Un ricordo di Garibaldi l’autobiografismo diventa testimonianza commovente di come l’eroe avesse alimentato le speranze di tutti. Anche dello zio Rutilio che decise di arruolarsi “Folate di entusiasmo passavano come vampe d’incendio sulla nostra penisola. Canti di giovinezza, canti di vittoria, strappavano fremiti e lacrime…Una sera nonno Filippo parlava con la zia Bita dell’assente, quando udirono bussare alla porta. Era, lui, l’avevano rimandato. Le marce faticose gli avevano ammalate le vene delle gambe…Te l’avevo detto! Vedi che bel regalo ti ha fatto Garibaldi”