UNA SCOMMESSA GIUDIZIARIA SUL FUTURO

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Il disegno di legge costituzionale presentato il 29 maggio u.s. dal Governo in materia di riforma del processo, inerente la separazione delle carriere dei magistrati, le modalità di nomina dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, la creazione di una Alta Corte per la materia disciplinare delle toghe e, in qualche misura, l’obbligatorietà dell’azione penale, attende da qualche giorno la firma del Capo dello Stato ai fini della prosecuzione dell’iter parlamentare.

Successivamente il testo sarà esaminato dalle due Camere e, se approvato, diventerà legge ma, vertendo in materia costituzionale, sarà senz’altro sottoposto a prova referendaria ai sensi dell’art. 138 della Costituzione.

Si tratta di materia specialistica e di non facile comprensione per il cittadino anche se avrà effetti notevoli in un settore delicato come quello della giustizia, un tema di estrema attualità, molto sentito dalle persone che, sia sotto il profilo civile che penale vengono a contatto con questo mondo.
Oggi sempre più emerge la realtà di un giudice che governa con le sue decisioni non solo i nodi essenziali dei diritti e delle garanzie individuali ma anche quelli della economia, ambiente, sviluppo tecnologico, spesso sostituendosi (non necessariamente per protagonismo ma per l’assenza di un programma politico coerente e di ampio respiro) alla politica stessa.

Da qui l’esigenza di poter contare su un giudice assolutamente terzo, non condizionato dall’appartenenza ad una comune carriera con una delle parti processuali e cioè il pubblico ministero.

Per ottenere ciò, in estrema sintesi, il disegno di legge governativo prevede la istituzione di due diversi organi di autogoverno dei magistrati, uno per i giudicanti ed uno per i requirenti.
Se il risultato della assoluta terzietà del giudice sarà conseguito lo dirà il tempo e l’esperienza considerato che, di fatto, già ora vi è una tendenziale permanenza dei magistrati nella funzione da essi scelta.

In parole povere già attualmente chi inizia la carriera come pubblico ministero tende a rimanervi per tutta la sua esperienza lavorativa ed altrettanto è per il magistrato giudicante.
Quello che ritengo essere veramente il passo in avanti rappresentato dal disegno di legge è che, se la riforma andrà avanti, i due CSM quali organi di autogoverno dei magistrati non saranno più formati da componenti eletti dai magistrati dopo una accanita battaglia “politica” ma, per due terzi, da magistrati estratti a sorte in modo da eliminare il ruolo di condizionamento che, impropriamente, hanno assunto le cd “correnti” (una sorta di veri e propri partiti a sfumatura personalistica e con diversi orientamenti politici che influenzano, non sempre in modo positivo, come insegna il caso Palamara, la vita della magistratura).
Parimenti anche la creazione di un’Alta Corte per giudicare la responsabilità disciplinare dei magistrati, sembra improntata ad una auspicabile maggiore terzietà ed indipendenza di giudizio, rispetto alla situazione odierna.