PORNO E VOLENTIERI

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Era il 1982 quando Dino Risi, uno dei più acclamati registi e sceneggiatori della commedia all’italiana, girava un film in dieci brevi episodi di ambiente piccolo borghese, tutti costruiti intorno ai luoghi comuni e agli equivoci erotici tipici delle pellicole licenziose e un po’ scollacciate diventate famose a partire dalla fine
degli anni Sessanta, in cui il massimo che poteva accadere era qualche reggiseno volato via. L’Italia del calcio aveva appena conquistato la Spagna, mentre nell’Italietta da bere albeggiava il decennio ameno edificato sulle sabbie mobili del debito pubblico, del craxismo rampante, del capitalismo relazionale sdoganato e mai rinnegato, se non altro ancora immune dalla insopportabile retorica del merito a cui i patrioti contemporanei,
restando seri, hanno appena tributato un ministero. Ma questa è un’altra storia.
“Sesso e volentieri”, in qualche modo, è il canto del cigno di quel linguaggio cinematografico tutto sommato innocuo e a suo modo spassoso, nel momento in cui la TV commerciale dei vari Colpo Grosso e Drive In rovesciano il banco del mercato di ghiandole e natiche, tutto a portata di telecomando, divano e serate tra amici
in cui la vita sembra ricca e spensierata, l’economia gira inconsapevole e si può ancora comprare il pesce fresco per la grigliata e farsi due settimane sulle Dolomiti, i figli crescono con Videomusic, incantati dagli idoli della pop dance laccata e spensierata; la mannaia politica e sociale dei Novanta, con la sua ritirata depressiva, non è
neanche immaginabile, la colonna sonora saranno i dolenti Nirvana, Soundgarden, Alice In Chains, gli idoli del grunge moriranno tragicamente, overdose, suicidio. Ma anche questa è un’altra storia.
Negli stessi primi anni degli Ottanta monta definitivamente un fenomeno che avrà un impatto globale ben più significativo delle gag demenziali di Edwige Fenech e Alvaro Vitali: il mercato della pornografia. L’indizio estivo è giunto all’autore di questo breve intervento da un gustoso pezzo di Marco Consoli (il venerdì, 9 agosto
2024) sulla sparuta sopravvivenza delle sale a luci rosse, una specie di buco nero tra il vintage e la nostalgia laddove ogni forma possibile di contenuto hard è a portata di smartphone, per lo più gratuitamente. L’occasione è un’intervista al gestore del Diana, cinema a luci rosse – donne ingresso gratis, fila riservata alle coppie con poltroncine doppie – che miracolosamente riesce a sopravvivere in quel di Udine: «La maggior parte dei clienti sono anziani, persone che magari non sanno tanto smanettare su internet. Tempo fa abbiamo avuto anche un prete, uno di zona, l’ho riconosciuto anche se non è che indossava l’abito talare […] Un tempo il Diana dava da mangiare a due famiglie, quella di mio zio e la nostra, poi lui ha lasciato e ho iniziato a occuparmene io».
È praticamente impossibile avere una contabilità delle sale a luci rosse ancora attive in Italia, una stima sommaria farebbe pensare a poche decine; la prima fu il leggendario cinema Majestic di Milano, aperto nel 1977, e rapidamente si arrivò a circa 1500 nei primi Ottanta, quando iniziarono ad arrivare i film hard dagli Stati Uniti e dal Nord Europa e il movimento garantiva sale piene e incassi eccellenti: «I bei tempi sono durati
fino al 1990 – continua il gestore del Diana – Cicciolina e Moana con “Mondiali” fecero il tutto esaurito per un mese intero». Poi l’inevitabile tracollo, con la diffusione del VHS e l’arrivo del porno sulle emittenti televisive private a tarda notte – fa notare l’autore del pezzo – e ancora la possibilità di acquisto sulle pay TV satellitari come Stream e Telepiù, e ovviamente il colpo di grazia inferto da internet, dove oramai l’offerta
gratuita è sterminata, per tutti i gusti e i palati più esigenti.
Oggi l’industria della pornografia è una delle più fiorenti del cosiddetto occidente industrializzato – l’impero del bene e dei valori non negoziabili – e l’Italia non sfigura affatto contribuendo con un buon sesto posto su scala mondiale, preceduta da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e per un soffio da Giappone e Messico nella fruizione di contenuti a sfondo sessuale sul web: la statistica fa riferimento al report annuale 2023 fornito da Pornhub, ed è piuttosto significativa, trattandosi di uno dei principali portali della galassia Aylo, leader mondiale lussemburghese del piacere “fai da te”, che offre un ecosistema dal perimetro incalcolabile e detiene circa l’80% della pornografia online. I dati sono incredibilmente dettagliati e definiscono un territorio
psicosociale in evoluzione: «Tra le statistiche più interessanti c’è il confronto (con gli altri 20 Paesi) tra l’utente di sesso femminile e quello di sesso maschile. In Italia, le donne che frequentano Pornhub sono il 32% del totale dei visitatori del portale. In pratica, un terzo degli utenti della piattaforma è donna (con una crescita del
3% rispetto alla stessa rilevazione effettuata nel 2021) […] I numeri più emblematici riguardano l’aumento percentuale della ricerca per determinate categorie. In particolare, la parte relativa alle orge (italiane) e ai transgender hanno segnato dei picchi di ricerca mai visti prima» (www.giornalettismo.com). Fa un po’ tenerezza – di questo ci informa una collaborazione tra Pornhub e Rolling Stone – che durante il Festival di
Sanremo 2023 c’è stato un netto calo delle visite, con il picco più basso durante l’esibizione di ciò che resta dei Pooh (con un -20% in Liguria). Non erano solo canzonette? Forse, certe salutari attività, è meglio farle che sognarle, e anche questa purtroppo è un’altra storia…