PERFETTIBILITA’

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Sarebbe auspicabile la sostituzione del concetto di perfezione con quello di perfettibilità. La perfezione non è raggiungibile per una svariata serie di motivi, tra cui, il principale, concerne il concetto di individualità personale, situazionale e morale. Non esistono dogmi riconosciuti per l’intera umanità, validi e applicabili in ogni situazione. Rincorrere costantemente la perfezione porta inevitabilmente a una frustrazione e aumenta esponenzialmente l’insoddisfazione. Tali elementi hanno l’effetto di intaccare l’autostima. Differente è invece il concetto di perfettibilità. Con esso si intende la capacità di tirare fuori dalla propria persona il meglio di sé partendo dal riconoscimento dei propri punti di debolezza, dei propri limiti e delle proprie possibilità. Richiama molto l’ars maieutica socratica e la concezione di educare nel senso di educere, “tirare fuori” da sè e dagli altri la propria vera natura, la propria unicità, la propria individualità facendo sì che i propri potenziali diventino tratti concreti. Ciò consente lo sviluppo di un senso di coerenza e di continuità del Sé è il collegamento tra i diversi stati della mente. Queste capacità hanno origine dal riconoscimento delle proprie emozioni, sia di quelle percepite come positive che quelle vissute come negative ed è valutata tramite la coerenza della narrazione di chi si sta raccontando. Raccontarsi crea infatti coerenza tra diversi tipi di memoria. Dobbiamo immaginare il cervello come una macchina che anticipa il futuro in base all’esperienza e il cui motore principale è la memoria, quell’insieme di funzioni diverse che rendono coerente il ricordo. In questo contesto entra in gioco l’ecforia, ovvero la reviviscenza di un ricordo che può rievocare emozioni sia positive che negative. Se si è improntati all’allontanamento delle proprie debolezze e all’accantonamento delle sensazioni negative, il non riconoscimento delle proprie parti nella loro integrità porterà a una mancanza di controllo dei processi, esponendo maggiormente al rischio di fallimento. Se invece si parte dall’autocritica, dall’accettazione delle proprie debolezze e delle proprie fragilità, vedendole come una risorsa e non come qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi, con maggiore probabilità si riuscirà a raggiungere gli obiettivi che ci si è prefissati. È proprio il concetto di vergogna che sta cambiando negli ultimi decenni: la vergogna non è più associata alla messa in atto di condotte ritenute non morali, ma è sempre più strettamente legata al non essere perfetti, adeguati e iperperformanti. Parlando di vergogna parliamo di emozioni e questo ci fa ben comprendere come siano le risposte emotive alle stimolazioni a condurre la nostra risposta comportamentale. Sono gli stati cerebrali generati dalle risposte di orientamento, di arousal, di valutazione, che danno un ampio ventaglio di esperienze emotive differenti. Le emozioni sono processi per lo più non consci che preparano una certa azione soprattutto attraverso il sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico. Le emozioni integrano perché sintonizzano diverse funzioni alle esigenze di un preciso contesto, ma sono a loro volta valutate e regolate da organizzatori superiori come la coscienza. Questo processo consente di muovere il sistema verso una maggiore complessità, elemento cardine del progresso evolutivo. Ciò comporterà che, una persona capace di riflettere con coerenza sulla propria storia, sarà un individuo in grado di integrare i propri processi neurofisiologici nelle relazioni personali. La mancata integrazione di esperienze significative implicherà invece una profonda distorsione del sistema del Sé. Stati del Sé anche molto differenti convivono bene se l’integrazione crea congruenza ed unità tra di essi. Conflitti irrisolti tra bisogni, mappe mentali, stati del Sé, creano di contro difficoltà interne e esterne. Nel muovere verso la complessità la mente unisce processi in stati mentali coesi. Quando tale collegamento dura nel tempo la risultanza sarà la coerenza, generata da meccanismi più ampi di risonanza. Un ultimo elemento che deve necessariamente essere oggetto di analisi concerne il fatto che la capacità di mantenere il proprio obiettivo sul lungo termine e le strade percorribili per il suo raggiungimento non sono la stessa cosa. Si può essere difatti convinti di poter raggiungere un traguardo perseguendo una determinata via in un determinato modo, ma se non si è in grado di accorgersi che queste convinzioni sono fallaci, non si sarà in grado di cambiare strada e di cercare strumenti differenti per raggiungerlo realmente. Più si è ancorati alle proprie fragilità vedendole come qualcosa da nascondere perché percepite come un elemento di vulnerabilità, più si utilizzeranno nei meccanismi di difesa che barricheranno all’interno del Sè, limitando lo scambio reciproco, andando a inibire la capacità di adattamento. Se invece si accetteranno le proprie debolezze in un processo di integrazione del Sè sarà possibile crescere, migliorare e rimanere costanti nello sforzo dettato dalla fatica del raggiungimento dei propri obiettivi in un’ottica di perfettibilità.