PERDERE ,VOCE DEL VERBO VINCERE

di


“A forza di perdere, ho imparato a vincere…”

Jorge Luis Borges

Ma come faceva quel gran genio di Borges, con una riga, a trasferire un mondo?

Molti studi sul comportamento animale hanno rilevato che uno degli esseri viventi predatori con la più alta percentuale di fallimenti negli attacchi è il Leone. Arriva da solo al 16%.

Eppure è il Re. Un Re, la cui natura e il proprio istinto lo hanno portato nell’evoluzione a non ipotizzare di smettere, di mollare; ma di fare squadra, di sviluppare altre strategie di gruppo basate sulle sue caratteristiche peculliari e di continuare ad avere quello che, nonostante l’alta percentuale di interventi fallimentari, lo mantiene in cima alla piramide, ovvero : la mentalità, il mindset, l’attitudine…chiamatela come vi pare.

Così facendo, gli etologi hanno notato che il successo dei suoi attacchi per la sopravvivenza è più che raddoppiato. Istintivamente certo, ma con la capitalizzazione dell’esperienza portata soprattutto dai fallimenti, ha saputo creare una strategia vincente.

Un atleta leggendario di nome Michael Jordan, icona mondiale del successo sportivo ai massimi livelli possibili, durante la domanda riguardo a ciò che aveva raggiunto e come, rispose che il suo successo derivava da tutto quello che non si era visto…a partire non dalle centinaia di canestri azzecchati ma soprattutto dai novemila tiri sbagliati; dalla motivazione nata dagli isolamenti subìti dai compagni di squadra, e da tutti gli altri errori commessi durante la sua stratosferica evoluzione sportiva. Motivazione, potenziale, perseveranza, capitalizzazione ecc. Ritorna spesso il solito quadro.

Ora, la parola resilienza mi è diventata indigesta perché abusata da improbabili “influencers-non-influencers” più per loro inconsapevole autoesaltazione o per egocentrica volontà di suggestione che per reale comprensione di cosa questo termine nasconda in profondità.

Poche cose sono più irritanti, almeno per me, di quando all’influencer “laureatosi all’università dell’isola che non c’è”, sale pure la parte motivazionale…

L’unica cosa giusta comunque in questo caso è la definizione usata, riassunto di come sia importante riorganizzare in modo proattivo e solido la propria vita a seguito di fallimenti.

Chiarito il focus, è evidente che gli esempi d’apertura vogliono fare riferimento a un mondo fatto di sacrifici, lotte, sviluppo del talento, capacità d’affronto delle reali difficoltà della vita, del superamento delle stesse, del miglior adattamento possibile; insomma di lacrime e sangue prima di poter dire che “in un qualche modo ce l’ho fatta”. Non basta solo un ingrediente.

Saper perdere veramente, contenuto inevitabile della vittoria, diventa così una straordinaria opportunità di crescita e d’incrollabilità alla quale ambire.

Una società media che ha sempre visto il fallimento come una incapacità, è un pessimo esempio di educazione al giusto mindset, poiché è una società che non ha ben compreso l’equazione più volte esemplificata sopra. Non tutti i talenti purtroppo riescono o sono riusciti però ad emergere con la determinazione di alcuni. O hanno avuto le occasioni multiple per poterci riprovare.

Tale miope visione ha fatto più danni dell’immaginabile, relegando ai margini talenti inespressi, sensibilità che necessitavano di maggior incoraggiamento e così via; laddove maggior empatia, sensibilità, solidarietà e spirito di squadra avrebbero invece certamente aiutato lo sviluppo di risorse umane se non la scoperta di talenti o, nella peggiore delle ipotesi, creato le basi per una società migliore e meno frustrata, nella quale anche il concetto spesso travisato di UMILTA’, avrebbe potuto avere la sua giusta collocazione etimologica (riconoscere i propri limiti per migliorarsi) senza dover trasmutare anch’essa sotto la voce FALLIMENTO alias stigma sociale.

Avete mica notato per caso che le persone empatiche e umili sono poi quelle più comprensive e disponibili verso gli altri e i loro insuccessi? Perchè sanno cosa si prova a essere al di là della scrivania. Navigare in brutte acque. Esser visti perdenti. D’insuccesso. Ecco che allora, questi individui sensibili a tutto ciò, offrono un sostegno preziosissimo verso un passaggio fondamentale legato al superamento della difficoltà. Alla rinascita. Alla crescita. Alla scoperta di un nuovo atteggiamento sia nei confronti della perdita e sia nei confronti del concetto di vittoria.

Parte della società è ormai portata a identificare in modo confuso valori e non-valori.

Un atteggiamento simile, che non riesce a vedere il quadro generale dagli inizi ma si fa ammaliare da quello o peggio “quelli” che paiono vincenti o facilmente apparenti tali, è tipico di una società scarna di consapevolezza. Incapace di analizzare, valorizzare e capitalizzare incontri, persone, situazioni, esperienze, visioni.

Qual’è allora la vera vittoria o la vera perdita?

Senz’altro, pure qui, dipende dai valori o disvalori di riferimento personali.

L’etica, questa fonte primordiale di princìpi e guida del comportamento umano, resta una bussola dal potere infinito la quale, se ben recepita, rende più chiari tutti i dubbi in questione.

Però bisogna leggere ma, soprattutto, prendersi il tempo per voler capire e auspicabilmente scegliere di divenire parte sana e non astiosa della società.