ORSI, CARTA BIANCA, VITA E MORTE

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Mi vado a intrappolare in una foresta di mangrovie. Come argomento intendo.
Ma fra i diversi spunti d’attualità che ci offre questo panorama internazionale, spesso distopico, scelgo di stare in casa Italia al momento, con notizie giudicabili certe, nell’attesa non si sviluppi quello che ogni ora minaccia di prepararsi.
La domanda dalla quale partirei per cercare di emettere un ragionamento è semplice.
Possibile non ci siano altre soluzioni che uccidere?
L’uomo pare che in certe circostanze, nonostante sia Sapiens da un bel po’, cerchi delle strade facili di risoluzione di alcuni problemi (da lui creati oltretutto) grazie a una tecnologia spicciativa riposta nell’arma contro la quale nessun essere vivente può. Soprattutto se l’essere con cui si entra in collisione (nel suo ambiente) è armato unicamente di forza naturale a difesa di territorio, prole, cibo necessario alla sopravvivenza.
Il rapporto uomo-animale oggi è, a tratti, più assurdo di un tempo in quanto l’evoluzione civil-culturale umana, che spesso è in regressione nella gestione di molte cose, dovrebbe aver creato più strumenti di comprensione, valutazione e miglior risoluzione verso questo rapporto primordiale di condivisione del mondo.
Cosa che, gli ultimi dati di cronaca trentina ben nota e perpetrata verso gli Orsi inseriti a forza in quel territorio, non hanno dimostrato.
Ora, non voglio ritornare sui già esausti confronti che vedono fazioni divise sull’accaduto, bensì vorrei concentrare l’attenzione sulla domanda iniziale.
E’ necessario in primis fare subito un distinguo comportamentale nella gestione della fauna selvatica fra Trentino e Abruzzo, dando per assodato che nel ragionamento si considerano anche le necessità di quegli autoctoni che vedono negli Orsi solo minacce o paure primigenie.
In Abruzzo, dicevamo, l’approccio verso la fauna selvatica locale è incentrato sulla ricerca di una convivenza pacifica. Per cui, leggi di tutela a parte, esiste una forte volontà di conservazione della specie da parte della popolazione attraverso strategie non letali quali : soprattutto sensibilizzazione pubblica, conoscenza, educazione delle comunità, recinzioni speciali, cassonetti speciali progettati per evitare che l’animale si abitui a vedere questo blocco come contenitore di cibo ecc.
L’uso di collari GPS monitora e traccia i movimenti dell’animale permettendo di prevenire ipotetici incontri-conflitti, dulcis in fundo.
Il turismo sostenibile adottato da questa regione, conclude un circolo virtuoso utile alla conservazione e tutela della specie e, guarda caso, anche alle economie locali.
Tutto fa pensare che soluzioni alternative agli abbattimenti ci siano. E con vantaggi per tutti. Tutto fa pensare che le controverse misure adottate in Trentino siano legate a fattori terzi di pressione territoriale piuttosto che a dati scientifici o al “sapersi comportare in caso d’incontri”. Tutto fa pensare che, diversità territoriali a parte e densità abitativa differente, il rapporto uomo-animale in questa parte del nord ancora non lo abbiamo capito in tanti.
L’informazione quasi sempre è lo strumento per abbattere la paura di ciò che non si conosce bene…un po’ come conoscere meglio i sistemi di sicurezza di un’aereo aiuta a comportarsi diversamente nell’approccio al volo.
Non trovo, aggiungo, personalmente accettabile fare differenze genetiche e caratteriali fra le 2 tipologie di Orsi adducendo, come scusa, la facilità di gestione dell’Orso abruzzese. Il punto non è questo. Il focus è sempre la domanda iniziale. Vita o morte?
Di chi è insomma la natura? Dell’uomo che allarga i centri abitati fino ad occupare l’areale nel quale vivono gli animali? di tutti e due? Vogliamo tener conto del fatto che l’animale ha uguali diritti di sopravvivenza e tutela della propria specie nell’unico modo che conosce? Possibile che l’uomo non riesca a trovare soluzioni terze senza addurre motivi quali i già uditi: “chi non vive in montagna non può parlare di cose che non conosce”.
Ma la decisione allora, sulla base di questo assoluto, la dovrebbe prendere un etologo, unico vero conoscitore del comportamento animale e non un politico con carta bianca d’esecuzione.
Piuttosto viene da domandarsi cosa differenzi chi trova soluzioni etiche e avanzate da chi invece no.
Le grandi tecnologie, perfino utili alla montagna, sono state create da Ingegneri non nati tutti necessariamente a millecinquecento metri d’altitudine.
Di qualunque argomento mondiale allora dovrebbe dissertare solamente, per ciò che gli compete, lo scienziato, l’indigeno, il contadino e così via? Con che compartimenti stagni? Ognuno è coinvolto con qualcos’altro o qualcuno.
La nascita e la permanenza in un luogo non sono necessariamente gli “unici parametri” per giudicare tutto. L’uomo si è evoluto nelle migrazioni e col melting-pot. E lo sviluppo si è avuto proprio grazie alle interazioni fra uomini, culture differenti, idee, invenzioni.
Ergo, il virgolettato precedente sul “diritto alla mia montagna” puzza di visione contradditoria e creatrice di saccenti barriere che annullerebbero l’interscambio fra esseri viventi e il progresso.
E’ un elitismo che probabilmente ucciderebbe ogni idea differente ma, hai visto mai, magari utile.
E’ proprio il dibattito misto il motivo per il quale uomini hanno creato valori e beni per uomini e donne, e donne hanno dato il via a scoperte storiche utili anche agli uomini. E’ proprio il confronto con le parti diverse (non solo con uno zoccolo duro elettorale) che può aprire la visione creando nuove risoluzioni più umane, civili, avanzate, migliori.
Quindi?
A me continua a sembrare la liquidazione sommaria di un rapporto, ancestrale, che necessità invece di investimenti, abbattimento dei ritardi culturali, cooperazione, sforzi maggiori di mediazione, ricerca di soluzioni vere che tengano sotto controllo interessi e arroganza umana, spirito di convivenza, accettazione.
Ma soprattutto, l’uso dell’arma contro la quale nessuno può, è un imbarazzante fallimento dell’intelligenza dell’uomo, particolarmente quando si è convinti sia “la unica soluzione finale”.