OMOGENITORIALITÀ

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Il genitore omogenitoriale rischia spesso l’isolamento e non solo per la necessità di coordinare lavoro, figli, attività e gestione della casa. Il problema del rischio di isolamento ha infatti origine più lontane, nasce dal processo di maturazione delle società industriali, caratterizzate dalla diffusione dell’urbanesimo e di forme sempre più accentuate di individualismo. La trasformazione industriale ha indebolito le tradizionali protezioni comunitarie. Gli individui alle prese con la monogenitorialità non riescono spesso a guadagnarsi sul mercato le risorse sufficienti per mantenersi, si trovano in condizioni economiche di dipendenza, perché la loro sopravvivenza e la loro integrazione sociale dipendono dall’aiuto che ricevono dalla famiglia, dalla parentela, dagli amici e dai vicini, dalle organizzazioni caritative e assistenziali e dalle politiche di Welfare. La questione è complicata dal fatto che stiamo parlando di un processo dinamico all’interno del quale la persistenza delle difficoltà si traduce in forme di marginalizzazione sociale, che si aggravano con il tempo e che si possono trasmettere in termini intergenerazionali. Le difficoltà della monogenitorialità non solo obbligano a condizioni di vita che indeboliscono l’integrazione nella comunità di appartenenza e compromettono la fiducia in sé stessi, ma inibiscono l’investimento di risorse in attività essenziali per promuovere il proprio reinserimento sociale, come la tutela della salute, l’istruzione di base e l’aggiornamento della qualificazione lavorativa. Inoltre non si può trascurare l’impatto tra cambiamenti demografici e occupazionali. Sul fronte del lavoro dipendente, terziarizzazione e flessibilizzazione rendono più precarie le carriere lavorative maschili, mentre coorti di donne scolarizzate hanno notevoli difficoltà a trovare un’occupazione e, comunque quando la trovano, devono coniugare l’attività lavorativa con il sovraccarico di responsabilità di cura. La conseguenza è quindi quella che, il genitore monoparentale, corra realmente il rischio di isolamento sociale, a causa del sovraccarico familiare elevato. Per quanto concerne l’aspetto intergenerazionale il rischio è che i bambini crescano in contesti svantaggiati, con maggiori probabilità di insuccesso e di abbandono scolastico e minori opportunità di acquisire buone credenziali professionali e di alfabetizzazione. Quindi, da giovani adulti, si troveranno ad affrontare un mercato del lavoro selettivo con risorse personali modeste con il rischio di poter accedere unicamente a carriere lavorative disastrate. Non è la struttura delle famiglie che incide sul benessere dei suoi membri, bensì la qualità delle relazioni e dei processi che prendono corpo nel gruppo. Tuttavia occorre riconoscere che le caratteristiche strutturali delle famiglie monoparentali hanno elementi specifici che tendono ad avvallare stereotipi, pregiudizi e preconcetti relativi alla loro incapacità genitoriale. La rivoluzione femminista, i movimenti libertari, lo sviluppo delle biotecnologie e la legislazione che riconosce filiazioni adottive hanno introdotto nuovi modi di fondazione delle famiglie che sono diverse dalle famiglie nucleari tradizionali non per la loro struttura, ma per come si originano. Sono le famiglie che si formano grazie alle tecniche di riproduzione assistita, anche nel caso di coppie di genitori omosessuali o di madri single per scelta. Si tratta di famiglie che hanno una struttura nucleare. L’eterogeneità delle famiglie richiede una cultura della differenza, ovvero che si avvalga di modelli capaci di sostenere le dinamiche e i processi della vita quotidiana di qualsiasi tipologia familiare senza pregiudizi e discriminazioni. Questo implica innanzitutto l’abbandono della cultura della devianza che riconduce la differenza di struttura, di formazione o di circostanze di vita alla psicopatologia. La dottrina della devianza confronta ogni famiglia con il modello, ritenuto tipico-ideale, della famiglia nucleare tradizionale con coppia eterosessuale e figli biologici conviventi, di classe media, appartenente alla cultura occidentale. Considera inoltre pregiudizialmente problematiche tutte le famiglie non corrispondenti al modello tradizionale. La cultura della devianza contiene in sé un pregiudizio che consiste nel considerare la diversità delle famiglie dal modello tradizionale come un fattore di rischio, ovvero nel considerare la diversità come un handicap; la cultura della differenza considera invece la diversità familiare nelle sue espressioni di specificità di funzionamento e dunque si interroga su quali siano i compiti che queste famiglie devono affrontare e quali siano i processi specifici che devono essere attivati per il benessere dei loro membri.