Il neonaticidio per millenni è stato il più praticato mezzo di controllo demografico. In passato tali atti venivano giustificati dall’impossibilità di poter contare su metodi anticoncezionali efficaci o per l’infamia legata alla maternità in nubilato per le donne e allo status di illegittimo per il bambino. Si consideri che quest’ultimo aspetto era persino evidenziato dalla precedente dizione dell’art. 578 del Codice Penale italiano che riservava un trattamento di particolare indulgenza a chi avesse ucciso il neonato “per causa d’onore”. Si era dinnanzi a un paradosso: in una società maggiormente improntata al rigore nell’ambito della morale sessuale, si finiva con l’esercitare indulgenza nei confronti di chi uccideva per “peccato sessuale”.
I neonaticidi risultano essere più frequentamente commessi dalle madri, così come gli omicidi rilevati nel corso della prima settimana di vita del bambino. Il crimine del neonaticidio sembra inoltre coinvolgere, in eguale misura, neonati di sesso maschile e quelli di sesso femminile. Con il termine infanticidio si fa invece riferimento all’uccisione di un bambino di pochi mesi di vita da parte della propria madre che può avvenire a seguito di atti violenti, maltrattamento, abuso, negligenza o trascuratezza estrema. Solo una minoranza di neonaticide e di figlicide sono malate mentali e in una minoranza di casi la malattia mentale spiega il crimine. Tra le dinamiche più prettamente patologiche si ritrovano neonaticidi attuati in presenza di psicopatologie puerperali, tutte caratterizzate da depressione, ma con differenti livelli di gravità. Globalmente, di fronte all’uccisione di un figlio, è possibile collocare l’agito della donna all’interno di tre grandi macro aree. Da una parte possiamo avere un maltrattamento con esito fatale: in questi agiti non vi è nella madre alcun progetto omicida e la morte del bambino è per così dire “accidentale” in quanto si concretizza come evoluzione sfavorevole, non intenzionale. In altre situazioni l’uccisione di un figlio può invece essere associata ad una grave patologia mentale materna. Infine, rispetto alle due precedenti macro aree, nella neo-mamma possono essere presenti ulteriori condizioni associate all’uccisione di un bambino quali rivalsa, altruismo o anche in quanto figlio indesiderato, non voluto.
Nei Paesi anglofoni e in Germania i bambini fino all’anno di vita hanno un tasso di rischio di essere vittime di omicidio quattro volte più alti di quelli degli altri gruppi di età. Il primo giorno dalla nascita risulta essere quello con più alto rischio. Gli ultimi dati italiani fanno riferimento al periodo temporale 2010/2022. I figlicidi commessi sono stati 268 per i bambini della fascia 0-12 anni, nello specifico, le vittime di età compresa tra gli 0 e i 5 anni sono state 106. Per quanto concerne il neonaticidio si hanno a disposizione solo i dati EURES degli anni 2009-2010: i bambini entro l’anno di età uccisi sono stati il 2,2% delle vittime di omicidio in famiglia (i bambini di quest’età costituiscono poco meno del 2% della popolazione). Si consideri però il problema del “numero oscuro”, che si ritiene maggiore per il neonaticidio che per le altre forme di omicidio, non foss’altro che per la triviale ragione della maggiore facilità di occultare il cadavere di un neonato. Vi è quindi la possibilità che il neonaticidio venga fatto passare per morte dovuta a SIDS (Sudden Infant Death Syndrome, cioè Sindrome da Morte Infantile Improvvisa). Il numero oscuro è senz’altro un problema anche da noi: una ricerca effettuata sui figlicidi materni (e paterni) commessi in Italia dal 1989 al 2003 ha trovato, fra quelli commessi dalle madri, che in un primo caso erano morti tre anni prima due figli annegati nella vasca da bagno: la stessa morte del figlicidio considerato, e i precedenti erano stati archiviati come “incidenti”. In un altro caso la gemella della vittima era morta “ufficialmente” per “soffocamento da rigurgito” (ab ingestis) quattro mesi prima; vi era stata archiviazione perché la morte era stata considerata accidentale. L’ultimo precedente “accidentale” reperito riguardava il fratellino della successiva vittima morto per deprivazione di acqua e cibo, la stessa morte che farà il secondo figlio. Notizie, queste, che gettano una luce inquietante anche sul problema del recidivismo, o addirittura della possibile “serialità” del neonaticidio materno.
NEONATICIDIO
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