LO STATO DI ESTASI

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La distinzione tra estasi mistica, delirio religioso e psicopatia è complessa poiché questi tre stati si intersecano in un unico continuum.

Quando parliamo di estasi, dal greco ἔκστασις, “stato di stupore della mente” e ἐξίστημι, “uscire da sé”, facciamo riferimento a una condizione mentale caratterizzata da una variazione, più o meno prolungata, dello stato di coscienza. Una delle caratteristiche principali riguarda una maggiore reattività agli stimoli sensoriali che provengono dall’esterno, in grado di fornire un’esperienza percettiva del Sé del tutto peculiare.

Tra le varie manifestazioni estatiche possiamo ravvisare il sogno, la trance, gli stati indotti da sostanze psicoalteranti e altri fenomeni meno noti. Gli elementi che accomunano queste condizioni sono una modalità di funzionamento della mente e del cervello diversa da quella abituale, il cui effetto è un’alterazione della consapevolezza di sé e del mondo.

Narrazioni di stati di estasi sono presenti da sempre nella storia dell’umanità, in epoche differenti e in culture diverse. I racconti riportati sin dai tempi della divulgazione orale narrano di un’esperienza mistica caratterizzata da uno stato psicofisico, del tutto personale, capace di mettere l’individuo in contatto con il mondo trascendentale. Le estasi dei mistici sono presenti in ogni forma di religione e vengono descritte come esperienze di trascendenza che, superando la propria individualità, consentono di mettersi in comunicazione con il proprio Divino, attraverso un’espansione della propria coscienza. Si comprende così come non sia affatto semplice distinguere la vera e propria estasi dallo stato di trance e dell’entusiasmo religioso. Un’ulteriore aggravante è che, nelle varie culture, queste terminologie hanno assunto, in contesti e in tempi differenti, significati diversi.

Nell’estasi i limiti tra la propria individualità e il mondo esteriore vengono annullati comportando che, il soggetto che vive tale esperienza, non è più in grado di distinguere tra realtà esterna e mondo interiore; anche la concezione dello spazio e del tempo risulta essere alterata. Ci sono dei fenomeni molto comuni nella vita di tutti che possono far comprendere questo stato, ad esempio l’estasi amorosa o quella sessuale.

Le alterazioni della capacità di percepire il mondo nella maniera ordinaria, il contatto con una realtà nuova e sconvolgente, il senso infinito di beatitudine, non sono però sempre riconducibili a una psicopatologia. Durante l’esperienza estatica crollano tutte le vecchie restrizioni mentali, il pensiero non è più lineare, strane e conturbanti emozioni invadono la psiche, non si è più capaci di distinguere la realtà esterna dal mondo interiore. I confini dell’Io si disintegrano, il tempo e lo spazio non sono più gli stessi e viene sperimentato un caos interiore a volte devastante: voci e visioni si alternano nello spazio mentale provocando un sentimento di beatitudine e facendo mancare le parole per esprimere ciò che si vive.

Quando tutto procede secondo previsioni prevalgono i meccanismi confermazionisti. All’atto pratico non avviene nessun apprendimento. È di fronte a una invalidazione o un fallimento previsionale che è necessario creare una nuova teoria in grado di porre delle modifiche agli schemi precedenti in grado di dare spiegazione dell’anomalia. Se è vero che avere ragione può essere gratificante, piacevole e rassicurante, è altrettanto vero che la nostra conoscenza cresce quando ci rendiamo conto di avere torto. Questa dinamica del cambiamento costante è il fondamento della salute mentale mentre il suo opposto, l’inerzia al cambiamento, può considerarsi una dimensione esplicativa di alcune disfunzionalità. Se l’elasticità mentale e la propensione al cambiamento sono garanzia di buon adattamento di contro la resistenza al cambiamento e l’inerzia cognitiva rappresentano una dimensione che può divenire psicopatologica e, nel momento in cui va a incidere sulla vita quotidiana, trova la sua piena e compiuta espressione nel delirio. In tal senso il delirio rappresenta l’ultima disperata possibilità di non perdere del tutto quelle capacità previsionale proprio nel momento in cui una pesante invalidazione colpisce i pilastri identitari ritenuti insostituibili. Quando tale invalidazione è troppo forte e i meccanismi dell’autoinganno non sono in grado di respingerla, il soggetto sperimenta una grande angoscia, quel particolare stato d’animo predelirante definito “whanstimmung” in cui tutto sembra diverso, strano, sconosciuto, cangiante e né il mondo né se stessi sono come prima. L’intuizione delirante risponde al bisogno di restituire prevedibilità riconfermando, a dispetto dei dati di realtà, le antiche costruzioni. Il soggetto può ricordare questa esperienza come il momento in cui “ha capito tutto” e ha sperimentato la soddisfazione che si prova quando si risolve un rompicapo. Lo scenario che gli è apparso, per quanto brutto e sgradevole, risulta essere comprensibile secondo i suoi schemi. Ed è proprio in quel momento che avrebbe luogo l’allontanamento dagli altri, in quanto nessuno sarebbe stato in grado di comprenderlo. Allo stesso tempo gli altri tenderebbero a distanziarsi e a iniziare a trattarlo come una persona strana e bisognosa di cure. Il delirio va così a consolidarsi articolandosi, dettagliandosi, arricchendosi e confermandosi anche in risposta dell’atteggiamento altrui. Siamo di fronte a un autoinganno a difesa dell’identità che scatta nel momento in cui si verifica un’invalidazione, o perché il vissuto è insostenibile o perché si è di fronte a un sistema povero di alternative, o ancora perché vengono a mancare le capacità di elaborazione.