In Italia a partire dagli anni Novanta del Novecento, prima con l’articolo 22 della Legge 241 del 1990, poi con la Lgs n. 33 del 2013 ed in ultimo con il Decreto legislativo n. 97 del 2016, il quale è andato ad integrare la Legge n. 124 del 2015, si sta andando sempre di più verso una trasparenza totale della Pubblica Amministrazione nei confronti del cittadino e verso una partecipazione attiva di quest’ultimo nel controllo del funzionamento della macchina amministrativa.
Per comprendere ciò di cui parleremo, riassumeremo qui brevemente i tre interventi di legge:
L’accesso a documenti amministrativi o documentale (il tradizionale accesso agli atti), previsto dall’art.22 della Legge n.241/1990, permette di richiedere documenti, dati e informazioni detenuti da una Pubblica Amministrazione riguardanti attività di pubblico interesse, purché il soggetto richiedente abbia un interesse diretto, concreto e attuale rispetto al documento stesso. La richiesta va presentata alla Pubblica Amministrazione (PA) che detiene il documento e deve essere regolarmente motivata.
Lgs n. 33/2013 recita: “La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
Il FOIA (Freedom of Information Act), introdotto con decreto legislativo n. 97 del 2016, è parte integrante del processo di riforma della pubblica amministrazione nell’ottica della trasparenza definito dalla legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. legge Madia). L’accesso civico generalizzato garantisce a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti posseduti dalle pubbliche amministrazioni, se non c’è il pericolo di compromettere altri interessi pubblici o privati rilevanti, indicati dalla legge.
Tornando a noi, sicuramente la direzione in cui si sta andando ci permette di parlare di Amministrazione Condivisa. Questo è un nuovo modo di amministrare caratterizzato da trasparenza, fiducia nelle istituzioni e rapporti orizzontali tra istituzioni e cittadini. Ma alla base di tutto ciò deve esserci il concetto della condivisione delle responsabilità. A questo punto i cittadini non vengono più considerati come soggetti amministrati, ma come «soggetti attivi, che integrando le risorse di cui sono portatori con quelle di cui è dotata l’amministrazione, si assumono una parte di responsabilità nel risolvere problemi di interesse generale» (G. Arena, Introduzione all’amministrazione condivisa, in Studi parlamentari e politica Costituzionale, 1997, pp. 29-65). Il principio di sussidiarietà orizzontale origina dall’Articolo 118 della Costituzione: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonomia iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà» (G. Arena e G. Cotturri, Il Valore aggiunto, come la sussidiarietà può salvare l’Italia, Roma, Carocci, 2010, pp. 46-57). Tale articolo è inserito nella carta costituzionale del 2001 (Titolo V), quella che ha visto la modifica totale del rapporto Stato – Regioni. Questa andrebbe considerata quasi come un’innovazione non prevista, con la quale buona parte della classe politica, a prescindere dallo schieramento, credeva troppo superficialmente di aver rafforzato la possibilità di sostenere finanziariamente le organizzazioni associative, così facendo si cercava di mantenere una dipendenza quasi feudataria tra associazioni e partiti politici. Ma l’esito fu del tutto diverso e in parte inaspettato. Gli anni successivi videro l’inserimento del principio di sussidiarietà in Costituzione e di conseguenza l’origine di varie interpretazioni. Il rischio maggiore a cui si andava in contro era quello di una lettura privatistica, la quale avrebbe condotto ad una rapida esternalizzazione/appaltazione dei servizi verso l’esterno. In tal modo sarebbe però venuto meno il principio della autonoma iniziativa. Esiste ancora oggi una corrente di pensiero che vede la sussidiarietà come un principio minatorio dei diritti sociali, politici e civili. Tale lettura risulta però forviante, poiché è attuabile solo se si legge il rapporto di sussidiarietà come non mediato, ma diretto tra singoli soggetti e istituzioni. Va invece letto come governo di processi che tiene insieme una pluralità di attori, pubblici e privati.
Il principio di sussidiarietà, assieme a quelli di differenziazione e adeguatezza, sta alla base del conferimento delle funzioni amministrative da parte della legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La distribuzione delle funzioni tra livelli di governo differenti deve avvenire in modo tale che alle autorità territoriali più vicine ai cittadini, in primis i Comuni, sia attribuita la generalità dei compiti che esigenze di carattere unitario non impongono di radicare a livello più alto (sussidiarietà verticale) o ai quali individui o formazioni sociali non siano in grado di assolvere (sussidiarietà orizzontale). Tale conferimento deve sempre tener conto delle diverse caratteristiche strutturali, organizzative, demografiche e associative, perciò è sempre mediato e mai diretto.
Il principio di sussidiarietà risuona forte in tutta la nostra Costituzione. Tale principio risuona forte anche nelle parole di Piero Calamandrei in difesa di Danilo Dolci: «per renderci conto con distaccata comprensione storica della eccezionalità e assurdità di questo processo, bisogna cercare di immaginare come questa vicenda apparirà, di qui a 50 o a 100 anni, agli occhi di uno studioso di storia giudiziaria al quale possa per avventura venire in mente di ricercare nella polvere degli archivi gli incartamenti di questo processo, per riportare in luce storicamente, liberandolo dalle formule giuridiche, il significato umano e sociale di questa vicenda» (Il Ponte, XII, n. 4, aprile 1956, pp. 529-544). Calamandrei entra poi nel vivo della questione e afferma che in Italia va spezzato questa sorta di feudalesimo burocratico e che sotto tale strato si trova la vera essenza del nostro Paese, composta da un popolo sempre pronto a partecipare e collaborare con lo Stato. Esiste un forte legame tra la Costituzione e la cittadinanza attiva, e l’Amministrazione condivisa come progetto politico origina proprio dalla memoria della nostra storia. La cittadinanza attiva mette in crisi il principio malsano che tutto possa essere delegato ad altri, che esista sempre qualcun altro cui affidare quel compito. La responsabilità è ora condivisa. Questa è un’impostazione che ribalta totalmente il modello tradizionale della Pubblica Amministrazione basata essenzialmente sul paradigma bipolare. Questo paradigma si basa sui principi di potere, gerarchia ed autorità, mentre l’amministrazione condivisa nasce sui principi di condivisione, alleanza, fiducia e autonomia. Perciò partendo da tali principi, la sussidiarietà orizzontale va intesa proprio come un’alleanza. Il cittadino non rappresenta più il termine dell’intervento pubblico, ma diviene soggetto attivo e corresponsabile all’interno della P. A. Questo rappresenta un punto di svolta totale nella gestione dello Stato, ma anche per quanto concerne la trasparenza della P.A. Il cittadino non solo può controllare il meccanismo burocratico, ma attraverso Amministrazione Trasparente, portale obbligatorio in tutti i siti della Pubblica Amministrazione, è tenuto a verificare i tre principi fondamentali della P.A.: efficacia, efficienza ed economicità.
L’Italia verso un’amministrazione più condivisa e partecipativa
di