Lavoro agile e smart working tra pubblico e privato: qual è lo stato dell’arte in Italia?

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La pandemia Covid-19 ha per sempre cambiato le nostre vite, sotto ad ogni punto di vista, in particolare quello che ne ha risentito di più è stato il mondo del lavoro. In quei mesi, per poter continuare a lavorare ai medesimi livelli del pre-avvento pandemico, è stato richiesto sia nel mondo della Pubblica Amministrazione, che in quello dei privati, un enorme passo avanti tecnologico per poter permettere ai dipendenti di lavorare da casa. Ecco come lo smart working è entrato nelle nostre vite. L’Italia, sotto tale punto di vista, rispetto ad altre realtà europee, risultava piuttosto arretrata.
Le medesime soluzioni sono state adottate anche nelle biblioteche italiane. A tal proposito un interessantissimo articolo di Cal Newport, docente di informatica presso la Georgetown University, pubblicato in The New York ci sovviene in ausilio. Newport apre l’articolo con la cronistoria degli eventi pregressi. Nell’ottobre del 1973, anno disastroso dal punto di vista economico (embargo petrolifero dell’OPEC), Nilles pubblicò un libro, The Telecomunications-Transportation Tradeoff, in cui lui e i suoi coautori sostenevano che il problema della congestione totale della città risiedesse nella comunicazione. Naturalmente in quegli anni il PC non esisteva e non si poteva ancora lavorare comodamente da casa. Nilles elaborò però un sistema per superare il problema del traffico in città. Per prima cosa le aziende avrebbero dovuto far costruire una serie di micro-uffici nella periferia della città, in modo tale che i dipendenti andando a lavoro non sarebbero andati a congestionare le vie stradali principali. In secondo luogo un sistema di comunicazione radio e telefonica avrebbe sostituito quella in atto all’interno dell’ufficio. Nilles per descrivere tale tipologia di lavoro coniò il termine telelavoro.
Negli anni Novata, proprio grazie ai PC, i dipendenti iniziarono a trascorrere molto meno tempo al telefono e in riunione. Tutta la comunicazione iniziò a passare attraverso posta elettronica e cartelle condivise. Quando i prezzi dei PC calarono, la gente iniziò ad utilizzarli anche nelle proprie case. Nel 1996 il governo federale USA ideò un programma per aumentare le opzioni di lavoro da casa per i dipendenti statali. Nel 2000, con l’invenzione della rete internet a banda larga, le connessioni da casa iniziarono ad essere molto più rapide. Nel 2003 venne inventato Skype. Nel 2004 venne aggiunta la funzione teleconferenza. Mentre nel 2006 nacque la videoconferenza. Nel 2007, Timothy Ferriss, all’epoca imprenditore di 29 anni, nel suo volume, The 4-Hour Workweek, suggerì ai lavoratori di contrattare per ottenere una parte di lavoro a distanza. Quando il lavoro a distanza sembrava stesse per sostituire per sempre quello in ufficio, ecco che ci fu un’enorme battuta d’arresto promossa proprio dai giganti informatici. Nel febbraio del 2013 l’amministratore delegato di Yahoo, Marissa Mayer, pose fine a tutti i lavori da casa in quell’azienda. Yahoo, essendo molto in auge in quel periodo, influenzò altri colossi come Best Buy, IBM e Hewlett-Packard. Il sogno di Nilles si era ormai infranto, nel 2018 negli USA solo il 3% dei dipendenti usufruiva del lavoro agile.
Ma in Europa qual è la situazione? Con la risoluzione del 13 settembre 2016 il Parlamento Europeo si esprime a favore del lavoro agile. La risoluzione ne mette in risalto i benefici sociali andando ad affermare l’importanza dell’equilibrio tra lavoro e sociale. Quello della settimana corta abbinato lavoro agile è uno dei cavalli di battaglia di Marco Carlomagno, Segretario generale della FLP – Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche. Carlomagno da tempo si sta fortemente spendendo su tali temi, andando a sottolineare anche come l’IA e la transizione digitale aiuterebbero all’attuazione di tale rivoluzione sia nel pubblico che nel privato. Per quando concerne l’IA citando proprio il Segretario Generale in un suo articolo del 1° luglio su HuffPost, ci dice: «Basti pensare allo studio condotto da Microsoft-Ambrosetti, presentato a inizio di quest’anno, che spiega come un’integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi lavorativi possa produrre, a parità di ore lavorate, ben 312 miliardi di aumento del PIL, vale a dire il 18,2%. Oppure, a parità di valore aggiunto, potrebbe liberare 5 miliardi e 700 milioni di ore lavorate».
Ma qual è oggi lo stato dell’arte in Italia? Nel Bel Paese la settimana lavorativa di quattro giorni sta guadagnando molta attenzione. Aziende come Intesa Sanpaolo, Luxottica, Lamborghini e Sace hanno implementato o iniziato a sperimentare questo modello. A livello internazionale, centinaia di aziende di vari settori hanno avviato progetti pilota per ridurre la settimana lavorativa senza diminuire i salari. «La Ong 4 Day Week Global ha supportato oltre 350 aziende in cinque continenti dal 2019, riportando in media riduzioni del 53% nell’assenteismo, del 41% nel turnover dei dipendenti, del 68% nel burnout e del 33% nello stress e ansia. Inoltre, la retention è aumentata del 57%, e l’efficienza migliorata ha portato a una diminuzione dei costi energetici» (F. Zullo, La settimana lavorativa di 4 giorni: un’opportunità per le imprese italiane, in Amancoritalia, 12/08/2024, https://www.manageritalia.it/lavoro/la-settimana-lavorativa-di-4-giorni-un-opportunita-per-le-imprese-italiane/). Con tre giorni liberi i lavoratori tornano più riposati e quindi lavorano in modo più intenso e creativo, commettono meno errori e migliorano il servizio ai clienti. Finalmente si sta iniziando a capire che non esiste un’esatta proporzionalità tra ore lavorate e produttività, anzi, meno ore si lavorano e migliori sono le performance individuali. Questi elementi, come già detto in precedenza sono marcatamente sottolineati nella risoluzione n. 48 dell’Unione Europea del 2016. Ma la diffusione e le modalità di regolazione del lavoro agile nei Paesi Membri dell’Unione sono differenti e risentono molto delle caratteristiche culturali dei singoli Stati. Il modello che molti Stati in tutto il Globo, come Nuova Zelanda su tutti, ma anche Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Spagna, Portogallo e Germania, stanno seguendo è quello del 100:80:100 – 100% del salario per l’80% del tempo lavorato, garantendo il 100% della produttività – di 4 Day Week Global è stato adottato da più di 350 aziende, con il 95% che continua la sperimentazione e il 36% l’ha resa permanente. Per descrivere tale modalità di lavoro esistono essenzialmente due termini:
Agile
Flessibile
L’utilizzo del termine muta a seconda della zona geografica e del substrato culturale del Paese che sta adottando tale tipologia di lavoro. Tra i termini più diffusi tra i Paesi europei c’è quello di agile working con il quale ci si riferisce alla flessibilità di orari e luoghi. In Gran Bretagna e Olanda si parla di agile working. Il Regno Unito è stato il primo paese ad introdurre nel 2014 una legge su tale tipologia lavorativa, Flexible Working Regulation.
L’Italia ha disciplinato il lavoro agile solo nel 2017 con la Legge del 22 maggio n. 81, artt. 18-23. È una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare. Ecco allora che un luogo come la biblioteca può considerarsi strategico per smart working e co-working. L’Italia è però ancora molto indietro sulla tabella di marcia rispetto agli altri stati Europei, soprattutto nel settore della Pubblica Amministrazione. È importante che pubblico e privato crei una forza sinergica per spingere in tale direzione.