“Nella solitudine il solitario divora se stesso, nella moltitudine lo divorano in molti. Ora scegli”.
FRIEDRICH NIETZSCHE
Vorrei esplorare un comportamento al quale attribuisco un valore altamente disintossicante, ora più attuale che mai, evergreen delle festività e di altri momenti di vita sottoposti a difficoltà e, non ultimo, particolarmente necessario nell’epoca della connessione continua.
Il focus nel titolo, a scanso di equivoci di sconfinamento o men che meno di appropriazioni indebite professionali, non vuole essere un’ approfondimento scientifico, bensì la condivisione di riflessioni facilmente fruibili e scambievoli in modo divulgativo e giornalistico.
Premetto che le cosiddette persone p.a.s. (persona ad alta sensibilità) strutturate naturalmente di Empatia, Sensibilità, Intuizione e Capacità d’ascolto necessitano di dosi maggiori di sana solitudine poiché come facilmente intuibile, di contro, pagano un prezzo elevato nelle situazioni socialmente intense a causa di sovraccarichi emotivi e sensoriali forieri di ansia e stress.
Appurato “chi siamo” come start basilare, il problema si pone ora nel distinguere: la solitudine dal valore rigenerante rispetto a quella negativa e tossica perché impostaci o perché originata da una moltitudine di motivi legati a isolamenti forzati, esclusioni sociali, razzismo, discriminazioni varie, classismo ecc.
Partendo dal peggio, notiamo che comportamenti cronici d’isolamento forzato, di tristezza, di ridotta autostima vissute in solitudine appunto debordano nella creazione di effetti gravissimi sulla salute mentale e fisica. Tutte le volte che la solitudine non è cercata, tutte le volte che diventa una insana e fragile reazione portatrice all’isolamento sociale, allora è fondamentale chiedere aiuto. Vero. Titolato. Professionale. Specifico. Esperto.
Superando la barriera della vergogna o del timore del giudizio o del confronto con le proprie fragilità e i propri mostri.
La testa è un organo che necessita di cure tanto quanto altri organi fondamentali.
La ricerca, invece, di uno spazio personale per riflettere, ricalibrarsi, metabolizzare emozioni, sentimenti ecc. attraverso silenzi e quiete, ci assiste nella ricerca della medicina giusta volta a sanificarci facendo un passo verso la crescita personale e la fondamentale conoscenza di noi stessi. Del piacere di stare con se stessi.
La presa di distanza , in modo consapevole, da pressioni sociali, umane o digitali (da qualche anno in poi) permette di apprezzare il valore della disintossicazione e della rigenerazione.
Da ribadire che la ricerca o la conferma di chi siamo (vedi sopra) è una condizione comportamentale di estrema salute verso l’imparare a stare da soli abbattendo dei tabù sociali ma, soprattutto, la si trova calcando le orme di quel sentiero che, quando percorso, ci insegna a stare soli nel modo “giusto” per vivere e gestire al meglio il rapporto perfino e di conseguenza col prossimo.
Vivendo, da tempo, in una società che enfatizza il successo esterno, le dubbie connessioni sociali e social nonché l’apparenza, si viene a creare un notevole conflitto fra “aspettative” e “risultati da dimostrare”…peggio se caricati da finzione esteriore per essere meglio accettati.
Terreno assai scivoloso nel quale si rischia di incappare, se non si è costruita una solida autostima, in situazioni di profonda frustrazione, rabbia, competitività malata e peggio invidia. Schiavi di un mondo fatto di apparenti valori-disvalori, i cui modelli di riferimento (demenziali) manipolano l’opinione pubblica generale (se debole), validando mondi effimeri e vacillanti costruiti sulla sabbia. Quando dentro invece si sta morendo, in particolar modo quando ci si ritrova nudi con se stessi.
La citazione senza speranza e nichilista del pensatore iniziale, non lascia scampo a una certa autodistruzione per propria mano o per mano altrui. Postata in apertura per esprimere un paradosso piuttosto forte, è da cogliere invece nella sua estensione concettuale. Ovvero, una bipartizione che stimola a una riflessione importante: trovare un equilibrio tra il tempo passato da soli e quello trascorso con gli altri; aggiungendovi anche il concetto di qualità del tempo investito.
In finale, solitudine e socialità sono a mio avviso due “arti”, interattive e necessarie, per raggiungere armonia e bilanciamento fra: crescita personale – riflessione – introspezione – condivisione – costruzioni relazionali possibilmente sane.
Consapevolezza, forza e qualità. Questo è il punto.