La fortuna degli Ab Urbe condita durante l’antichità

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Molti studiosi ritengono che il più grande e influente storico latino sia stato Tacito, ma quello che sicuramente ebbe più fama e fortuna nel corso dei secoli fu senza dubbio Tito Livio.
Il successo di Livio fu sia immediato che duraturo. Livio è l’altro grande storico che insieme a Sallustio ha avuto un’enorme e costante fortuna nel corso dei secoli, a partire già dagli anni immediatamente successivi alla morte.
Uno dei primi che lo utilizzò come modello e come fonte storica fu, Tiberio Cazio Asconio Silio Italico. Nell’opera i Pùnica, suddivisa in 17 libri, narranti le vicende della seconda guerra punica, dalla spedizione di Annibale in Spagna fino alla vittoria di Scipione a Zama, Silio Italico riprese la forma architettonica del modello liviano. La volontà del poeta è di collegarsi alla più imponente trattazione monografica in latino degli eventi che vanno dal 218 al 201 a.C., cioè la terza decade degli Ab Urbe condita. Silio Italico colloca subito dopo la sezione proemiale il ritratto di Annibale, come aveva fatto Livio e chiude l’opera con l’immagine di Scipione trionfante a Zama. L’aderenza alla fonte, risulta netta in tutta l’opera, i primi undici libri dei Pùnica coprono perfettamente gli eventi dei libri XXI-XXIII degli Ab Urbe condita. Emerge dunque, la volontà del poeta di collegarsi e di mettersi sulla scia della grande storiografia latina, proprio prendendo Livio a modello.
Sempre nei decenni immediatamente successivi alla morte dello storico, il poeta Marco Anneo Lucano, nella sua opera epica, in dieci libri, Pharsalia, narrante le nefaste vicende legate alla guerra civile tra Cesare e Pompeo, utilizzò ampliamente come fonte gli Ab urbe condita di Livio (E. PARATORE, Lucano, Roma, Ateneo, 1992, pp. 58 – 62).
Aufidio Basso, per la prima parte delle Historiae, attinse all’opera liviana come fonte storica, riprese infatti gli ultimi due libri dell’opera di Livio per ricostruire le vicende che vanno dal 49 a.C. al 9 d .C (G. ZECCHINI, Storia della storiografia romana, Roma – Bari, Laterza, 2016, pp. 154 – 155).
Lo stesso imperatore Claudio, fu profondamente influenzato dallo stile e dall’oratoria liviani, l’imperatore fu infatti zelante discepolo di Livio. Claudio compose diverse opere storiografiche sul modello di quella liviana, una che andava dal 44 a.C. alla morte di Augusto, dove omise volutamente il periodo triumvirale. Compose inoltre in lingua greca una Storia etrusca in 20 libri e una Storia di Cartagine in 8.
Quinto Asconio Pediano, pur essendo essenzialmente un gramaticus, fece molti apprezzamenti sullo stile storiografico liviano e ritenne l’opera di Livio insieme a quella di Sallustio, «imprescindibile per la ricostruzione degli anni 70 a.C.» (C. GIARRATANO, I codici fiorentini di Asconio Pediano, Firenze-Roma, Tip. G. Bencini, 1906, pp.12-13.).
Lucio Anneo Seneca, conosceva invece altre opere di Livio, di genere dialogico-filosofico, composte nella giovinezza, che però sono andate perdute. Si tratta di dialoghi che prendono a modello le opere epicuree. Seneca istituì infatti, un paragone tra le opere liviane e quelle di Epicuro (A. SIERRA, Tito Livio, Madrid, Gredos, 2012. pp. 120 – 121.). Seneca padre fornisce invece qualche notizia biografica sullo storico, dicendo che si interessava anche di oratoria e che sposò la figlia del retore L. Magius.
Marco Fabio Quintiliano fece molti apprezzamenti sullo stile fluido, ampio e ricco di chiarezza di Livio, definendolo lactea ubertas, letteralmente “abbondanza di latte”, per indicare come lo stile di Livio fosse scorrevole, dolce per il lettore ed allo stesso tempo piacevole. Lo stile di Livio è caratterizzato da architetture ben studiate e da un periodare fluente opposto alla brevitas sallustiana, che tanto l’oratore criticò.
L’autore che più di ogni altro, in questo periodo, venne influenzato e utilizzò come fonte storiografica l’opera di Livio, fu Publio Cornelio Tacito. Tra le varie fonti storiche che utilizzò per comporre la Germania e l’Agricola, vi furono certamente gli Ab urbe condita. Infatti le scarse notizie che si avevano sulle popolazioni barbariche del nord Europa, prima della composizione della Germania, erano rintracciabili solo in Cesare, Livio e Plinio il Vecchio (C. TACITO, Agricola, Germania, Dialoghi sull’oratoria, introduzione, traduzione e note a cura di MARIO STEFANI, Milano, Garzanti, 2014, pp. X – XX.). Tacito pur prediligendo Sallustio come modello storiografico, nelle sue opere fece ampi apprezzamenti anche su Livio. Negli Annali si evince la ferma volontà da parte dello storico di proporsi come continuatore dell’opera di Livio, una riprova di tale volontà è data dal fatto che nei codici manoscritti tacitiani il titolo dell’opera è Ab excessu divi Augusti, richiamo palese all’Ab urbe condita. Illuminanti risultano su le parole di Coluccio Salutati a riguardo: la grandezza di Tacito sta nel fatto che riuscì a restare lontano da Livio pur seguendolo nella narrazione storica e nello stile.
Marco Valerio Marziale, pur occupandosi di poesia, nutrì grande ammirazione per Livio, lo citò anche nell’epigramma 61 del liber 1:« Veròna dòcti sỳllabàs amàt vàtis | Maròne fèlix Màntuà est, | censètur Àponì Liviò suò tèllus | Stellàque nèc Flaccò minùs, | Stellàque nèc Flaccò minùs, | Apòllodòro plàudit ìmbrifèr Nìlus» (MARCUS VALERIUS MARTIALIS, Libro degli Spettacoli libri 1.-7, a cura di MARIO CITRONI, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1996, p. 91). Il poeta qui canta i grandi scrittori e le loro città natali, affermando che Padova, la terra di Aponus, antico dio veneto delle acque termali, è apprezzata per Livio. Inoltre Marziale, testimonia il possesso di alcune epitomi dell’opera liviana circolanti in quel periodo, probabilmente ad uso scolastico.
Appiano Alessandrino utilizzò l’opera di Livio come fonte per comporre i Ῥωμαικά, un’opera in 24 libri, dall’età regia a Traiano. Appiano si valse della fonte liviana per tutto il periodo relativo alle guerre macedoniche.
A partire dal II secolo d.C., epitomi e i riassunti dell’Ab urbe condita iniziarono a circolare per Roma. Una così abbondante circolazione di tali opere per temi, era dovuta in particolare a motivi scolastici, infatti per l’insegnamento della storia si prediligeva l’uso di riassunti, data la mole dell’opera liviana. Luciano Canfora, in Studi di storia della storiografia romana individua quattro epitomi/riassunti sopravvissuti: l’Epitome de Tito Livio di Floro, le Periochae di un autore sconosciuto, il Prodigiorum liber di Giulio Ossequente e l’Epitome di Ossirinco scoperta nel 1903. Anneo Floro realizzò un riassunto per temi dell’opera liviana, anche se dall’autore non venne concepito come un vero e proprio riassunto, più «come una rapida sintesi della storia romana articolata per guerre esterne e interne, e divisa in quattro età, l’infanzia sotto i re e lunga 400 anni, la giovinezza durante la quale Roma soggiogò l’Italia lunga 150 anni, la maturità fino ad Augusto per altri 150 anni e infine la vecchiaia da Augusto ai tempi dell’autore» (G. ZECCHINI, Storia, cit. pp. 166 – 169). Naturalmente Floro utilizzò come fonte Livio, ma non fu l’unica, fece anche un ampio utilizzo di Sallustio, Cesare, Virgilio e Lucano.
Lo storico di lingua greca Cassio Dione con la stesura dei Romaiká (Storia di Roma), un’opera storiografica in ottanta libri, dalle origini alla dinastia Severa, venne additato, dai contemporanei, come nuovo Livio. Dione utilizzò l’opera liviana come fonte per tutto il periodo delle origini, per le guerre puniche e per le guerre civili (G. MARTINELLI, L’ ultimo secolo di studi su Cassio Dione, Genova, Accademia ligure di scienze e lettere, 1999, pp. 170 – 182).
Durante la seconda metà del III secolo d.C., affianco alla storiografia tradizionale, iniziò a svilupparsi la storiografia ecclesiastica, però Livio non cadde in disgrazia, anzi godette di grande considerazione anche da parte di questi nuovi storici. Fondatore della nuova tipologia storiografica fu senza dubbio, Eusebio di Cesarea. Nel Chronicon fornisce dati biografici su Livio, pur non avendolo utilizzato come fonte. Sarà oggetto di un secondo articolo in questa rivista la fortuna di Tito Livio nel Medioevo.