Durante la prima Giornata mondiale della felicità celebrata il 20 marzo 2013, l’Onu ha affermato: “un cambiamento profondo di mentalità è in atto in tutto il mondo. Le persone riconoscono che il progresso non dovrebbe portare solo crescita economica a tutti i costi, ma anche benessere e felicità”. Sarebbe davvero un grande passo in avanti se il progresso riguardasse non solo alcune zone del pianeta ma anche altre realtà in cui miliardi di abitanti sono meno fortunati. Ma cos’è la felicità? Gran parte della filosofia ha cercato di dare una definizione di che cosa sia una vita buona e felice. Nell’antichità attorno al concetto di felicità gravitava l’intera concezione filosofica della vita. Forse si trattava di uno stile di vita meno vario rispetto a quello dell’uomo contemporaneo, ma con una salda idea di felicità, quasi assoluta. La dicotomia tra uomo felice e uomo ricco apre la strada a diverse interpretazioni. C’è chi ritiene che l’agio sia necessario e sia il mezzo per raggiungere uno stato di serenità. Invece, c’è chi sostiene il contrario riconoscendo l’inutilità del bene materiale per il raggiungimento della felicità. E’ innegabile che oggi dilaghino moralismo e perbenismo, proprio da parte di chi si trova in posizioni di privilegio e per questo motivo avverte la necessità di giustificare la propria condizione rispetto a chi vive in situazioni di povertà. Immersi tra i successi e i dolori della vita, ciascun individuo tenta di emergere e di essere felice. Ma come? Sembriamo indeboliti dal mondo che creiamo noi stessi e vittime dell’incessante desiderio che l’uomo prova e che lo porta a non essere mai soddisfatto definitivamente. In balìa dei desideri, che una volta soddisfatti, ci rendono annoiati, la vita si presenta come un ciclo continuo ed effimero di ricerca, in cui si distinguono alternativamente ottenimento e insoddisfazione. Attraverso un’attenta riflessione ci si accorge che il soddisfacimento dei piaceri non determina la felicità. Il comfort, ossia la felicità ricavata dalla soddisfazione dei bisogni biologici ed acquisiti, non determina necessariamente la felicità. La felicità viene ricavata da nuovi stimoli e dai comportamenti di esplorazione che indicono l’uomo ad avere relazioni di parità con l’Altro. Quindi, in tal caso, tutto sta nel giusto equilibrio tra soggettivismo e rispetto degli altri. Essere felici non può equivalere a rinunciare alla parte desiderativa ma neanche restare indifferenti di tutto ciò che è parte di un mondo non rispondente esclusivamente agli interessi personali. Se l’individuo vuole essere credibile deve basarsi necessariamente sui fatti e non su elementi astratti; dal momento che i due aspetti che condizionano l’uomo, gioia e dolore, sono fatti quantificabili. L’individuo è credibile se alimenta sentimenti di reciprocità e quando la solidarietà, l’accoglienza, il rispetto e il senso del bene comune diventano gli ingredienti per il conseguimento di una felicità globale, che non può esaurirsi soltanto attraverso buoni propositi. Necessita porsi, quindi, consapevolmente nella condizione del fare invece del dire.
LA FELICITA’ TRISTE
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