La Bella Otero

di


Dalla miseria alla gloria

“La donna è senza dubbio una luce, uno sguardo, un invito alla felicità, e talvolta il suono di una parola”. Così Charles Baudelaire si espresse nei riguardi della donna che segnò un’epoca e visse novantasette anni senza risparmiarsi. Dalla miseria alla gloria. Dalla vergogna al successo. Passare una notte con lei era privilegio di pochi: principi, duchi, personalità di alto rango. Nata a Fuente Valga, nei pressi di Cadice il 4 novembre 1868 figlia di una gitana bellissima alla morte del padre ucciso in un duello fu spedita in collegio dove subì cattiverie e dure punizioni. Sguattera di cucina, addetta alle pulizie, costretta a lavare il pavimento con acqua gelida. A dodici anni meditò il suicidio ma l’amicizia con una compagna di collegio ricca e generosa le cambiò la vita. Per merito della sua amica riusciva ad uscire di nascosto dall’istituto e fuori da quelle quattro mura conobbe Pacho che si innamorò di lei. Carolina ricambiò l’affetto danzando per lui. Le mani chiuse poggiate sui fianchi senza musica né nacchere si abbandonò ad un’appassionata danza. Nessuno le aveva insegnato a ballare ma la danza come il canto erano nel suo sangue andaluso. Pacho la presentò ad un café chantant. Appena la videro danzare la ingaggiarono: due pesetas per sera. La danza diventò la sua ragione di vita. Scoperta dalle istitutrici del collegio subì punizioni tremende. Fuggì con Pacho a Lisbona per ricominciare l’avventura del teatro, seppure in locali di infimo ordine e malfamati. Lina cantava e ballava ignara che la polizia la stava cercando. Tornò forzatamente a Valga rifiutata dalla madre che le urlava di andarsene perché in paese era malvista. Una donna le riferì che Pacho l’aspettava a Lisbona. Carolina partì senza soldi per incontrarlo e intanto passava le giornate a cantare e suonare il pianoforte in un lussuoso albergo dove le avevano offerto l’alloggio. Il direttore del teatro Avenida di Lisbona la sentì cantare e le propose un debutto per mille pesetas al mese. Il ricco banchiere di Lisbona se ne innamorò e la sposò a patto che non danzasse più. Sommersa di tutto quanto si potesse desiderare non era però felice. Ringraziò con un biglietto il suo benefattore e lo lasciò per raggiungere Barcellona dove si incontrò di nuovo con Pacho. Rincontrarlo significò avere una parte nell’operetta Il Viaggio in Svizzera dove cantava e danzava e come solito affascinò il proprietario del locale che le fece un contratto a tremila pesetas. Ben presto diventò l’idolo degli spettatori. La gioventù brillante di Oporto ogni sera andava ad applaudirla, tra questi il figlio di un importante esportatore di vino. Voleva farne una vera signora. Le fece prendere lezioni di lingue, di comportamento, di equitazione. Carolina viveva in un sogno che durò poco. Si innamorò del baritono Guglielmo Rossi e lo sposò ma lui giocatore incallito sperperò tutto il patrimonio compreso quello di Carolina. Qualche volta lei lo accompagnava al casino per non restare sola. Giocò due luigi per non saper che fare, invece vinse una fortuna. Con 50.000 franchi se ne andò al “Le chat noir” esibendo una carica di sensualità straordinaria. Passò di successo in successo poi partì per Parigi dove non era conosciuta. L’incontro con un amico di suo padre che si fece carico delle sue difficoltà e la presentò a Francois Boron fu l’inizio di una nuova fortuna. Carolina fece presa nel cuore del direttore artistico. Debutterà al Chez-Véfour di fronte alla Parigi che conta. Questo locale come il Moulin Rouge stava diventando il simbolo dell’audacia libertina dove passavano nomi importanti della politica, dell’alta finanza… Improvvisamente anche l’America le aprì le porte. A New York debutterà all’Eden Musée. Non solo gli uomini provavano passione per lei anche le donne. Valentina de Bruges se ne innamorò perdutamente. Carolina aveva accumulato tanto denaro ma il demone del gioco si era impossessato di lei. Lasciò l’avventura americana per tornare a Parigi, la città che amava più di tutte. Trascorse giorni di follie in compagnia del miliardario William Kissam. Le cronache mondane erano piene delle loro stravaganze. Il granduca Nikolaj Nikolaevic imparentato con la famiglia imperiale russa in occasione di una festa in suo onore, la presentò agli ufficiali della guardia imperiale su un vassoio d’argento, nuda, che trenta fontane di champagne inondarono. Lei si alzò in piedi e accennò un passo di danza tra gli applausi. Tornata a Parigi nel 1892 si concesse altre relazioni: con il principe Alberto di Monaco, con Leopoldo re del Belgio, Edoardo principe di Galles, lo zar Nicola II. Un lungo elenco che comprende anche gli uomini che si sono uccisi perché da lei respinti. Decolté nero, sfavillante di gioielli con un milione di franchi si recò al casino di Monaco. Perse tutto e fu costretta a vendere i suoi famosi gioielli agli strozzini. La capitale francese appariva sempre più attraente mentre l’Italia le fu ostile. Fischiata a Bologna e criticata a Roma al Salone Margherita ritentò l’avventura italiana dopo qualche anno per riprendersi la rivincita. Ai primi del 1907 decise di assicurare le sue bellissime gambe: ottantamila dollari ciascuna. Le sue prestazioni ebbero prezzi da capogiro e finì per alienarsi le simpatie degli impresari. A quaranta anni ebbe la sensazione di essere al declino. Non credeva più alle passioni folli e durature. Giunse in Italia: Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Pompei. Una vacanza esaltante. Continuò a spostarsi da una città all’altra dell’Europa, a cambiare uomini e passioni. Si diradarono le offerte di spettacolo. Strappando il più bel vestito di scena disse addio al successo e alla fama. A Nizza, nella stanza che occupava al secondo piano dell’Hotel Nouvel al 26 di rue d’Angleterre, trascorse gli ultimi anni. Destinò ciò che le restava ai poveri della parrocchia. Guardò per l’ultima volta le foto ingiallite, gli autografi dei poeti che avevano scritto per lei e dopo una notte trascorsa a sentire un tremendo freddo decise di scaldarsi un po’ di caffè. Accese il fornelletto. Un capogiro la buttò a terra. Il gas fuoriuscì. L’odore acre di bruciato e il fumo insospettirono la donna che stava pulendo le scale. Ma l’uscio era chiuso e nessuno rispondeva ai richiami. Carolina riversa sul pavimento era ormai priva di vita.

Era il 10 aprile del 1965.