Negli ultimi anni, la questione della rappresentanza femminile nelle istituzioni è diventata sempre più centrale nel dibattito politico italiano. Per approfondire questa tematica e comprendere le sfide ancora da affrontare, abbiamo intervistato la senatrice del Partito Democratico, D’Elia, una figura di spicco nella lotta per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere. Durante l’intervista, la senatrice ha condiviso la sua prospettiva sugli ostacoli che impediscono alle donne di accedere a ruoli di vertice, le politiche necessarie per raggiungere la parità salariale e le critiche rivolte all’attuale governo riguardo alle politiche sociali. Inoltre, la senatrice Cecilia D’Elia ha fornito un’analisi delle misure da implementare per combattere il femminicidio e la violenza di genere, sottolineando l’urgenza di interventi efficaci e duraturi. Le sue risposte offrono spunti importanti per comprendere non solo le sfide attuali, ma anche le strade percorribili per garantire un futuro di maggiore equità e giustizia sociale.
Negli ultimi tempi si è parlato molto dell’importanza di una maggiore rappresentanza femminile nelle istituzioni. Secondo lei, quali sono i principali ostacoli che ancora impediscono alle donne di ricoprire ruoli di vertice in politica e nelle istituzioni?
Molti soffitti di cristallo anche in Italia sono caduti. Ma bisogna andare oltre questa metafora.
Per la prima volta abbiamo una donna presidente del consiglio e una donna leader del maggior partito di opposizione. Un’assoluta novità.
Ma una donna da sola non basta, soprattutto se non lo fa per tutte le altre, se non promuove politiche per tutte, se non porta un segno diverso nei luoghi del potere. E questo non si fa da sole.
Come ci ricorda sempre la nostra segretaria Elly Schlein non ce ne facciamo nulla di una donna presidente del consiglio se non fa politiche per tutte le donne.
Gli ostacoli sono politici, possiamo migliorare le norme antidiscriminatorie, allargarne l’ambito di applicazione. Ma poi il tema è l’alleanza tra donne, il progetto di cambiamento, che deve riguardare anche il modo in cui si esercita il potere, la costruzione di percorsi per tutte, nella società, nelle istituzioni e nei partiti. Noi nel Pd ci stiamo provando, anche a cambiare il nostro partito, con un luogo come la Conferenza delle democratiche, con tutte le difficoltà e i conflitti del caso.
Parità salariale: La parità salariale tra uomini e donne è un tema cruciale in Italia. Quali sono, secondo lei, le politiche che il Partito Democratico intende promuovere per ridurre il divario retributivo di genere, e quali sono le sfide più difficili da superare in questo campo?
Nella scorsa legislatura come partito democratico ci siamo impegnati per una nuova legge sulla parità salaria, che ha esteso i controlli e ha introdotto la certificazione di genere. Bisogna impegnarsi per la sua applicazione, ma soprattutto bisogna intervenire sugli ostacoli nell’organizzazione sociale e del lavoro che creano discriminazioni di fatto al percorso lavorativo delle donne. Tra l’altro questo divario salariale si traduce in un divario pensionistico ancora maggiore tra donne e uomini. La sfida cruciale è la condivisione del lavoro di cura, che oggi ricade quasi interamente, senza nessun riconoscimento, sulle donne. Si tratta di investire sui servizi, sul welfare, ma soprattutto di approvare il congedo paritario di cinque mesi. Nel nostro Paese il congedo di paternità è fermo alla soglia minima che la UE ci aveva chiesto, di dieci giorni. La rivoluzione della cura, che è anche una rivoluzione culturale, necessita di interventi per un maggiore equilibrio tra tempo di vita e tempo di lavoro che riguarda tutti, non solo le donne. Come Pd abbiamo presentato una legge sulla riduzione dell’orario di lavoro, ma soprattutto la legge sul salario minimo.
Senatrice D’Elia, ha più volte criticato l’attuale governo per le sue posizioni su temi cruciali come le politiche sociali e i diritti delle donne. Quali ritiene siano gli errori più gravi dell’esecutivo in questo ambito e quali proposte alternative il Partito Democratico intende portare avanti per tutelare i diritti delle donne e promuovere l’uguaglianza di genere?
L’errore più grave di questo governo è non investire sulla libertà e l’autonomia delle donne. Diventa molto evidente quando si parla di scelte procreative, pensiamo ai cosiddetti pro-vita nei consultori infilati con un emendamento ad un decreto sul Pnrr. Ma riguarda più in generale le politiche sociali ed economiche.
La questione della denatalità è affrontata con inviti a riscoprire il valore della maternità e piccoli interventi per chi è già madre, di due figli, o adesso con un cosiddetto bonus bebè . Ma dietro i bonus ci sono poi i tagli ai ministeri che sono tagli ai servizi.
Da un lato si ripropone un modello identitario per cui la vocazione di ogni donna è fare figli, dall’altro nulla di strutturale per sostenere davvero le scelte di genitorialità.
E invece le nascite aumentano dove le donne sono più autonome e lavorano di più. Bisogna avere rispetto per tutte le scelte procreative delle donne, per la loro autonomia, ed intervenire sullo scarto tra figli desiderati e possibilità di averne. Quindi politiche che rafforzino l’assegno unico, invece di inventare nuovi bonus una tantum, i servizi educativi zero sei anni, la condivisione del lavoro di cura, come già detto, ma soprattutto politiche per l’occupazione delle donne.
Siamo il Paese con il tasso di occupazione più basso in Europa.
Abbiamo già detto sul salario minimo, sul congedo paritario e bisognerebbe non tradire gli obiettivi del Pnrr, come quello sull’occupazione femminile e sui nidi. Ma la clausola sull’occupazione, che chiedeva alle imprese di occupare il 30% di donne, è continuamente aggirata.
Lei è membro della Commissione parlamentare sul femminicidio, che ha già promosso diverse iniziative importanti. Nonostante i progressi fatti, i dati sui femminicidi rimangono allarmanti. Quali sono, a suo avviso, le azioni ancora necessarie per ottenere risultati concreti e duraturi nella lotta contro la violenza di genere? Cosa manca per rendere le misure più efficaci e incisive?
Quello di cui abbiamo parlato fin qui ha molto a che fare con la violenza maschile contro le donne. L’empowerment delle donne è la prima risposta.
Lo abbiamo detto anche in sede di discussione dell’ultima legge approvata, all’unanimità, sulle misure cautelari, a novembre dello scorso anno. Sul piano penale abbiamo cambiato molto, anche se manca una legge che dica chiaramente che è violenza quando non c’è consenso e una norma sulle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Tutte proposte che, come democratiche, abbiamo presentato e che chiediamo vengano discusse.
Ma rispetto anche agli impegni presi con la ratifica della Convenzione di Istanbul, siamo deboli nelle politiche di prevenzione e nel finanziamento della rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio, nel rafforzamento dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
Bisogna fare di più sulla formazione degli operatori. Troppe sentenze che minimizzano la violenza, troppa vittimizzazione secondaria, giudizi su chi ha subito violenza.
Per ottenere effetti duraturi serve investire sul cambiamento culturale, a partire dagli uomini. Il numero dei femminicidi ci dice che troppi di loro non sanno convivere con la libertà delle donne. Ma nella scuola la destra agita ogni volta l’ideologia gender per mettere in discussione quei progetti di contrasto agli stereotipi e di educazione all’affettività. Ma la violenza si sconfigge se promuoviamo la cultura del consenso.
Siamo ancora troppo immersi in una cultura patriarcale. Una spia lo è il fatto che non siamo riusciti a fare una riforma a costo zero che la Corte costituzionale ci chiede da tempo, quella sul cognome materno. Ne stiamo discutendo in commissione giustizia al Senato e siamo
impegnate perché vada avanti. Ormai grazie alla Corte dal 2022 non c’è più l’automatismo della trasmissione ai figli del solo cognome paterno, proprio per questo è necessario legiferare e regolamentare questa importante riforma che fa decadere l’ultimo segno patriarcale nel diritto di famiglia.