Il 2 dicembre a Roma si è inaugurata la mostra dal titolo “Tempo del futurismo” ospitata dalla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea. Va da sé il ricordo dell’ottantesimo anniversario della scomparsa di Filippo Tommaso Marinetti avvenuta il 2 dicembre del 1944. Fu lui ad inaugurare un movimento d’avanguardia nel 1909 di cui l’attuale mostra ne celebra il rapporto tra arte, scienza e tecnologia. Argomento attualissimo questa galvanizzante presenza futurista che invita a centrare l’attenzione sul percorso odierno ricco di avvenimenti sociali ed etici in cui allora se ne intravide il carattere accentuatamente maschilista a discapito dell’emisfero femminile. Vediamo cosa successe: nel 1912 veniva divulgato il Manifesto della Donna Futurista, un documento clamoroso e innovativo in opposizione ad una tradizione maschilista coltivata per millenni. Bisogna dire però che il Marinetti non fu molto comprensivo verso la scesa in campo del
Futurismo rosa
e soprattutto non prevedeva di sposare Benedetta Cappa ideologa del Futurismo rosa. I due suscitarono subito polemiche: la moglie poetessa firmataria del primo manifesto futurista del 1910 si trovava d’accordo con Valentine de Saint Point che scriveva: “…la donna si è lasciata domare ma gridatele una parola nuova, lanciate un grido di guerra e con gioia cavalcando di nuovo il suo istinto essa vi precederà verso conquiste insperate”. Spingeva le donne a mettere in atto un coraggio nuovo che non fosse solo quello di tirar su figli e famiglie…dovevamo lottare a viso aperto, scoprire il coraggio dei deboli e l’audacia di chi si muove nell’ombra, cercare la forza per vincere…Dobbiamo ammettere che da allora non c’è stato un movimento che ha troneggiato sulla scena culturale soprattutto per l’irruenza del suo urlo. Non che sia stato un movimento da osannare al di sopra degli altri ma sicuramente trasformò l’agire in un’icona comportamentale. L’anno di morte fu il 1968 e sarebbero state le contestazioni studentesche ad uccidere l’avanguardia la cui parola d’ordine era l’amore per il nuovo. Anche nelle sfere del regime autoritario questa alzata di testa delle donne fu temuta tanto che sul periodico Gerarchia dell’ottobre del 1919 si legge: “La donna ha il compito precipuo di coltivare la tradizione e l’ordine, non ti competere frontalmente con l’uomo in innovazioni ardite più o meno discutibili”. Marinetti aggiunse che le donne avevano velleità troppo competitive. A pareggiare i conti fu Tamara De Lempicka l’affascinante artista tra gli anni venti e trenta che dichiarò: “Cerco di vivere e creare in modo tale da imprimere sia alla mia vita che alle mie opere il marchio dei tempi moderni”. È stata il modello di una femminilità indipendente e trasgressiva” si lesse su una recensione ad una sua mostra. Ed è vero. Al di là dei tanti pro e contro il Novecento, il futurismo femminile procurò un impatto su tanti aspetti e settori: nella moda, nella vita teatrale, nella gastronomia, nell’abbigliamento, sulla emancipazione sociale. Si aprirono nuovi orizzonti e nuovi meccanismi creativi talvolta naufragati nell’irrequieto paesaggio artistico e sociale.
Il futurismo al femminile
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