Il brigante calabrese Giuseppe Musolino

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Il termine brigante deriva dalla parola brigare, cioè, praticare, lavorare, trovarsi insieme.
Nel corso dei secoli, soprattutto in Francia, ha assunto la connotazione di fuorilegge.
Già i Romani si adoperarono per debellare il fenomeno che, però, si ripresentava in ogni epoca, fino al Novecento.
Ma i briganti erano visti come giusti, dei giustizieri atti a vendicare continui soprusi; anche un’unica alternativa allo Stato per i quali, i meno abbienti, erano considerati nullità. Solo una minoranza li riteneva reietti della società.
Si nascondevano negli antri naturali della Sila, altopiano dell’Appennino Calabro.
Favorita dalla Natura per i suoi boschi e foreste, miste di aghifoglie e latifoglie; per i suoi altopiani, le sue cime arrotondate, i suoi laghi, le grandi nevicate, la presenza stabile dei lupi, quella stagionale dei funghi porcini, in un ambiente dalle cime più alte, a seconda della loro posizione nell’altopiano dove è possibile scorgere, in giornate limpide, l’Aspromonte a sud e il Massiccio del Pollino a nord, il Mar Tirreno a ovest, il Mar Ionio a est, la Piana di Sibari a nord, la Piana di Sant’Eufemia e la Piana di Gioia Tauro, la Sicilia, l’Etna e le isole Eolie a sud.
Vestivano con giacca di panno scuro, gilet per metà rosso e metà nero, calze pesanti e stivaletti di vitellino.
Nella realtà, i briganti erano pastori e contadini resi duri dalla povertà, dalle prevaricazioni e gli abusi, dalle violenze perpetrate dai ricchi. Erano vittime di una giustizia ingiusta.
Il brigante più famoso della punta dello stivale, l’allora Enotria, Italia, ricca di vitelli, la Calabria, era Giuseppe Musolino, più noto con l’appellativo di ‘U re ‘i l’Asprumunti, il re dell’Aspromonte, un massiccio montuoso dell’Appennino calabro, nella Calabria meridionale e che rispecchia l’antico nome di candido, bianco, dovute alle formazioni montuose del massiccio.
Giuseppe Musolino nacque a Santo Stefano in Aspromonte il 24 settembre 1876 e morì a Reggio Calabria il 22 gennaio 1956.
Era un giovane taglialegna, come il padre dedito al duro lavoro. Ma, all’età di 21 anni, il suo nome acquistò notorietà e passerà alla storia come “il giustiziere dell’Aspromonte”.

Quella sera, nell’unica osteria del paese, come sempre si beveva e si giocava.
Per disputare una partita di nocciole, si formarono due coppie, rispettivamente composte da Giuseppe Musolino e Antonio Filastò da una parte della sala, dall’altra i fratelli Vincenzo e Stefano Zoccali.
Tra di loro scoppiò una rissa, una delle tante ma, il giorno dopo, qualcuno, presumibilmente per vecchi rancori, sparò alcuni colpi di fucile a Vincenzo Zoccali che rimane ferito. Sul luogo venne ritrovato il berretto di Giuseppe Musolino e, per questo motivo, verrà ingiustamente accusato.
In base a false testimonianze, verrà condannato a 21 anni di carcere.
La famiglia Musolino cercò con ogni mezzo di salvare il figlio ma le parcelle degli avvocati più famosi, non erano alla loro portata. Si ripiegò su Biagio Carfagna, un avvocato che accettò l’incarico di difesa per la modica somma di cento lire ma che, in realtà, il suo scopo era proteggere Giuseppe Travia, suo nipote e vero autore degli spari.
Il ragazzo, ingenuamente, nel tentativo di dimostrare la sua innocenza, insieme ad alcuni compagni di cella, riuscì a evadere.
Si nascose nei cimiteri, nelle caverne e nei boschi, aiutato da familiari e da gente che credeva nella sua innocenza e avrebbe voluto una Calabria di giusti.
Giuseppe Musolino scelse la via della vendetta, commettendo cinque omicidi contro coloro che l’avevano accusato ingiustamente.
Sulla sua testa venne posta una taglia di cinquemila lire e si tentò in ogni modo di acciuffarlo ma lui riuscì sempre a farla franca.
Oramai era un brigante e la gente si schierò a suo favore. Era l’eroe gentile e spietato, simbolo dei torti subiti e voleva farsi giustizia da solo, sfidando apertamente lo Stato. Il suo nome volò anche all’estero, i giornali raccontarono di lui e Musolino diventò una leggenda.
Vivere nel nascondimento non è facile quando si ha ancora una vita davanti ragion per cui, decise di mettersi in cammino, raggiungere il nuovo re Vittorio Emanuele III e chiedergli la grazia.
Ma a Urbino, per puro caso, viene catturato da due carabinieri perché scambiato per un malvivente in quanto, alla loro vista, Musolino se l’era data a gambe, inciampando in un filo spinato che favorì la cattura.
Famosa la frase da lui pronunciata: “Chiddu chi non potti n’esercitu, potti nu filu”, quello che non potè lo Stato, potè un filo.
I quotidiani del 17 0ttobre del 1901 resero noto l’evento: “Il giustiziere d’Aspromonte Giuseppe Musolino è stato arrestato, lo Stato ha vinto”.
Ergastolo il verdetto.
Nel 1946, gli venne riconosciuta l’infermità mentale e rinchiuso nel manicomio di Reggio Calabria dove morirà.
Non muoiono Il mito e i racconti del brigante Musolino e la storia di quel ragazzo, di quell’uomo al servizio dei deboli contro la prepotenza dei forti, che continua a essere tramandata di padre in figlio.