A partire dagli ultimissimi anni dell’Ottocento in seno alla chiesa si iniziò a sentire il bisogno e il desiderio di un nuovo Concilio. Si consideri, infatti, che il Concilio Vaticano I fu interrotto nel 1870 a causa della presa di Roma, e dunque risultò inconcludente1. Un primo buon proposito da parte di un pontefice di riprendere il Concilio interrotto forzosamente nel 1870 venne da Pio XI con l’enciclica Ubi Arcano Dei Consilio del 1922. A tal proposito, il Pontefice aveva inviato a cardinali e vescovi una lettera chiedendo il loro parere sulla ripresa dell’assise. L’iniziativa, tuttavia, sfumò a causa della vastità del dibattito e della questione romana ancora aperta2. L’enciclica papale enunciava il programma del nuovo pontefice, riassunto nel suo motto «pax Christi in regno Christi». Essa si scagliava contro la tendenza a ridurre la fede a mera questione privata. Pio XI nell’enciclica spronava i cattolici ad adoperarsi per creare una società totalmente cristiana. Questo programma fu completato dalle encicliche Quas Primas (1925), con la quale istituì la festa di Cristo Re, e Miserentissimus Redemptor (1928), dedicata al culto del Sacro Cuore. L’enciclica rappresentava anche la risposta cattolica al primo conflitto mondiale e alla necessità di costituire una Società delle Nazioni. La pace universale era però ancora molto lontana. Le tensioni internazionali, infatti, secondo Pio XI, erano causate dal quel processo di laicizzazione delle società che sembrava non arrestarsi. Unica soluzione, per una pacifica convivenza tra le nazioni, sarebbe stata una nuova loro sottomissione alle direttive ecclesiastiche. Contestuale a tale idea è la presa di distanza da parte di papa Pio XI, dopo il possibilismo di Benedetto XV, nei confronti della Società delle Nazioni3.
Durante tutto il periodo fascista, essendoci problemi di carattere maggiore da affrontare, il dibattito sul Concilio non riemerse, ma appena il Secondo conflitto mondiale si concluse, esso si andò riproponendo. Con il nuovo pontefice, Pio XII, i lavori per il concilio ripresero mediante una commissione che doveva riorganizzare il Concilio, il 15 marzo 1948. Nel febbraio del 1949 Pio XII istituì la commissione speciale preparatoria, nominando Francesco Borgongini Duca come presidente e il gesuita Pierre Charles come segretario. La commissione concluse che una mera ripresa del Vaticano I non sarebbe stata in grado di affrontare i numerosi nuovi problemi, sorti nella Chiesa dal 1870 ad allora, e la convocazione di un nuovo concilio avrebbe comportato notevoli difficoltà in merito alla sua organizzazione e impostazione. Sentito il parere della commissione, il 4 gennaio 1951 papa Pacelli dispose l’abbandono del progetto4. L’esigenza, però, di un Concilio rimaneva forte e sempre più necessaria.
Tale esigenza era percepibile sia nei piccoli centri che nelle grandi città e Fermo costituì un esempio di ciò. Parroci come don Ernesto Ricci, don Ottavio De Angelis e don Luigi Leonardi, rappresentano la seconda generazione di quella temperie culturale cattolica che si sviluppò a Fermo alla fine dell’Ottocento e che voleva una Chiesa più “sociale”. La prima generazione era, invece, quella del Cardinale Amilcare Malagola e i monsignori Carlo Castelli, Ercole Attuoni e Roberto Papiri. Fu proprio Malagola a volere fortemente un aggiornamento della Chiesa fermana. Riuscire ad ottenere rapidi risultati andando ad aggiornare la formazione del clero fermano, attraverso modifiche degli studi seminaristici, e promuovendo la formazione del Movimento Cattolico nella diocesi fermana5. L’inizio ufficiale dell’Azione Cattolica presso l’Arcidiocesi di Fermo si ebbe nel 1897. In tale anno tutte le associazioni cattoliche presenti nella Città aderirono all’Opera dei Congressi. Il 30 dicembre 1896 si era costituito il Comitato Parrocchiale di San Matteo di Fermo sotto alla presidenza del conte Pietro Falconi6. Nel 1898 la presidenza passò al conte Tommaso Bernetti, il quale era coadiuvato da 5 consiglieri. L’8 gennaio 1897 si costituì il Comitato parrocchiale di San Michele Arcangelo, sotto la presidenza del conte Francesco Brancadoro. Il 4 aprile del 1897 sorse il Comitato dei Santi Cosma e Damiano. La presidenza fu affidata a Giuseppe Parlatoni. Tale Comitato il 30 gennaio 1898 si unì a quello di San Michele. Il 14 gennaio del 1897 si costituì il Comitato della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo sotto alla presidenza di Giuseppe Abbruzzesi. Il 31 gennaio 1897 si costituì il Comitato della parrocchia di San Francesco guidato dall’avvocato Ludovico Causi. Il 22 febbraio del medesimo anno anche la Parrocchia dei Santi Martino e Quirico costituì il suo comitato. Tra le parrocchie dell’Arcidiocesi di Fermo la prima a costituire il suo comitato fu quella di Montappone il 17 gennaio 1897.
Lo spirito di rinnovamento della Chiesa e di un maggiore attivismo non era sentito solo dal clero, ma anche dai fedeli. Il 10 giugno del 1897 venne indetta un’adunanza straordinaria del Comitato Diocesano e dei Comitati Parrocchiali. Risultavano costituiti 6 Comitati Parrocchiali a Fermo e 10 dell’Arcidiocesi: Mostrapiedi, Montefiore, La Corva, Montappone, Monterubbiano, Pedaso, Porto Sant’Elpidio, Torre di Palme, Carassai, Monsampietro Morico. All’adunanza parteciparono però molte altre parrocchie che stavano lavorando per la costituzione del proprio Comitato. Erano assenti solo i rappresentanti delle parrocchie di Montefortino e Ville d’Ascoli. Il discorso di apertura fu tenuto da Monsignor Roberto Papiri, uno dei maggiori promoter di questo attivismo sociale da parte della Chiesa fermana. L’Arcivescovo incitò tutti ad un lavoro di vigorosa cooperazione in linea con quanto detto dal Pontefice e dalla presidenza dell’Opera dei Congressi. Il Vice segretario del Comitato Diocesano, don Giovanni Cicconi, riferì che i lavori erano ormai partiti in tutta l’Arcidiocesi. Sia il cavalier Rossetti che l’avvocato Censi parlarono della necessità di vedere i preti fuori dalle sagrestie, lungo le strade in aiuto ai fedeli. Ma si parlò anche della necessità di istituire banche cattoliche e di aiutare le zone rurali. Don Romolo Murri insistette molto sulla necessità di diffondere la stampa cattolica per elevare la cultura del popolo. In questo periodo si cercava di correre a riparo dalla propaganda anticlericale post unitaria. I Fermani però non cedettero a ciò, anzi si organizzarono in movimenti di azione cattolica.
1 A. Riccardi, Il Papa all’origine del Concilio, in Concilio Vaticano II. Ricerche e documenti. 4, 2004, pp. 25-40.
2 G. De Rosa, Giorgio Cracco, Il papato e l’Europa, Siena, Rubbettino Editore, 2001, p. 237,
3 D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 47-48.
4 A. Riccardi, Preparare il Concilio: Papa e Curia alla vigilia del Vaticano II, in Le Deuxième Concile du Vatican (1959-1965), Collection de l’École Française de Rome, n. 113, Roma, 1989, pp. 181-184.
5 E. Tassi, Gli Arcivescovi di Fermo dei secoli XIX e XX, Fermo, 2006, pp. 134-137; E. Tassi, Ottavio De Angelis sacerdote, maestro di vita e cultura, in Quaderni dell’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, n. 45, 2008, p. 5.
6 G. Cecarini, Gli inizi del Movimento Cattolico a Fermo, in Quaderni Storici dell’Archivio Arcivescovile di Fermo, n. 12, 1999, pp. 7-18.