Fiaba come strumento educativo-relazionale

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Fiaba: da Fabula, racconto breve, fantastico e popolare, inizialmente divulgata oralmente.
La sua origine, risale tra il 1314 e il 1322 quando l’Europa attraversò una grandissima carestia al punto che, non di rado, si assistevano a casi di abbandono di minori e infanticidio. Per esempio, “Pollicino”, tratta proprio di un abbandono per povertà anche se prevale l’amore e, di conseguenza, il ritorno a casa del bimbo abbandonato. Prevalgono l’amore e il perdono.
Da tempi lontani, dedicata ai più piccini ma con la capacità d’attrarre anche gli adulti che intendono sognare, che si lasciano trasportare tra i meandri della fantasia. Adulti che, seppure per un lasso di tempo limitato, riescono a “tenere a bada” le controversie del difficile cammino della vita.
L’adulto, durante la lettura della fiaba, entrerà in simbiosi col piccolo ascoltatore; tra i due si creerà una sintonia che difficilmente viene riscontata in altri campi nel loro interagire.
Grande e piccolo, vivranno la stessa avventura della fiaba trattata.
Nell’educazione dei bambini (e ce lo dicono anche lo psicologo e psipedagogista Guido Petter), la fiaba dovrebbe essere un elemento spontaneo per genitori, educatori, nonni, insegnanti, fratelli.
Già dai due anni, i bambini sviluppano il piacere dell’ascoltare una storia che, successivamente, dai sei anni, potranno autonomamente leggere.
Ascoltare una fiaba, dunque, sviluppa il pensiero narrativo in quanto fa sì che si acquisiscano elementi logici e nuovi vocaboli.
Il bambino si affeziona ai personaggi, subisce uno sviluppo emotivo e affettivo in quanto s’immedesima nelle emozioni, le riconosce dando loro un nome. Altresì, acquisisce attenzione e concentrazione.
Fiaba che, nel passato, ha intrattenuto intere generazioni. Fiaba, oggigiorno, messa in discussione dai benpensanti, relegata in un angolo e tacciata come elemento diseducativo.
Sostituita, ahimè, da cartoon moderni che di educativo, molto spesso, non hanno proprio nulla, anzi, presentano contenuti violenti, discriminatori, con personaggi dalle forme viscide e mostruose e che possono provocare incubi notturni.
Ma torniamo alla fiaba.
Il fatto che la fiaba racconti di orco, strega o lupo, è stata tacciata come traumatizzante per i piccoli.
In realtà il bambino determinate emozioni le vive con l’adulto ed è protetto da quest’ultimo, ragion per cui, riesce a elaborare le proprie, in modo autonomo.
Dunque, la fiaba, ha un valore educativo-relazionale in quanto, il bambino, impara a riconoscere relazioni positive tipo collaborazione, aiuto, perdono, solidarietà e relazioni negative tipo imbrogli, menzogna, gelosia. Sentimenti tutti esistenti nella vita.
Leggere una fiaba prima di andare a letto, fa sì che il bambino venga supportato nella conoscenza del suo mondo interiore.
E via allora, senza indugio… “C’era una volta, nel mare incantato” …

                                     La Befana che non sapeva amare

C’era una volta, una contessa di nome Befana che viveva in un grande castello sperduto tra i monti più alti del mondo. 
Le sue giornate erano lunghe e tristi perché, a causa del suo carattere spigoloso, nessuno voleva viverle accanto, neanche i suoi fratelli Picca e Picco, due ragazzoni sempre allegri e gentili con tutti che, oramai stanchi delle continue angherie subite, in una notte di tempesta, se l’erano data a gamba, facendo perdere le loro tracce. Anche la servitù era andata via senza avvisare, fatta eccezione di Poldino, fedele servitore tuttofare, segretamente innamorato di Befana, che, ahimè, non sapeva amare.
Il malcapitato sopportava ogni sorta di soprusi, in nome del sentimento che nutriva per la contessa, mai contenta del suo operato.
“Troppo scotta questa pasta! Troppo salata questa carne! Pavimento troppo sporco! Buono a nullaaa, deficienteeee!”
È così che trascorrevano le giornate. 
“Un giorno andrò via”, brontolava il vecchio servitore, sapendo che non avrebbe mai trovato il coraggio di attuare ciò che la sua voce diceva con tanta convinzione. 
Intanto gli anni passavano, le stagioni si susseguivano.
L’estate ormai era un lontano ricordo e l’autunno aveva lasciato il posto alla bianca e soffice neve dell’inverno che non aveva risparmiato neanche il castello, quasi sepolto dalla bianca coltre.
I giorni passavano e la neve non accennava a diminuire. “Moriremo di fame”, pensò Poldino. E così decise che, se la porta non si apriva per il grande carico della neve che ostruiva l’uscio, sarebbe uscito dalla torre del castello, a cavallo di una scopa volante, regalo di una zia maga e di cui nessuno conosceva l’esistenza.
Detto fatto.
Poldino tornò al castello carico di ogni ben di Dio ma… ahimè… con una terribile polmonite che lo spedì al Creatore.
Befana, rimasta completamente sola, cominciò a pensare alla sua vita trascorsa e ciò che vide di sé, per la prima volta, non le piacque al tal punto che pianse per tre giorni di fila.
“Me tapina! Da oggi sarò brava e buona”, disse a se stessa. Ecco mi occuperò di… bambini. Si, si… e porterò loro tanti balocchi!”
Recuperata la scopa magica, la caricò di doni e leccornie. Poi… viaaaaa… su nel cieloooo e poi di nuovo giù e.… il pacchetto nel comignolo.
“Che gioia essere buoniiiii”, urlava ai quattro venti.
Da quel giorno, i bambini, presero l’abitudine di scrivere la letterina a Befana che era talmente buona da lasciar loro scegliere i regali. 
E Befana accontentava tutti con amore.