Ettore Bastianini: una voce per l’opera lirica

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Quando realtà e teatro si confondono

Orgogliosamente nato nella contrada senese della pantera, questo è un personaggio, direi Pucciniano, che alle giovani generazioni di melomani non suscita immediatamente l’attenzione e il ruolo che invece, giustamente, la storia (non solo degli anni d’oro) gli ha riservato.
Di origini umili, venne notato per le sue qualità vocali, mentre il garzone era il lavoro che faceva, senza probabili speranze e senza aspettative.
Non poteva immaginare che, poco tempo dopo, in un percorso ricco di travagli affettivi e umani, sarebbe passato alla storia come la voce di baritono di riferimento dell’Opera Lirica.
Di questo grande cantante non si vuole però riportare l’ennesima biografia più o meno romanzata ma, bensì, cercare di valutare il travaglio umano e professionale che lo ha portato dalla vetta del mondo al baratro di una morte prematura e tragica.
Un percorso che, fatalmente, ha interpretato innumerevoli volte sul palcoscenico, in primis nelle sue tragedie Verdiane.
Di animo sensibile, solitario e malinconico probabilmente a causa di una infanzia infelice da figlio abbandonato, Ettore trovò nel prossimo, nel figlio Jago e nell’amatissimo cane lupo Zabo quel colmo affettivo mancato.

L’aspetto che da questa angolazione si cerca di capire è come ogni individuo, seppur artista di fama internazionale, riesca o meno ad affrontare le tragedie di cui la vita a volte è generosa dispensatrice ed in che modo questi le viva.

Al culmine della carriera, dopo una fulminea e precoce diagnosi di neoplasia, Ettore prende la drammatica decisione di non curarsi in modo invasivo e non operarsi, per conservare quelle minime forze che gli avrebbero permesso di affrontare, seppur per poco, ancora il palcoscenico, sua unica ragione di vita e di riscatto.

Il tutto lasciando pubblico, colleghi e pochi famigliari all’oscuro di ciò che stava vivendo.
Forza interiore? Coraggio? Pudore? Timore?…forse tutto insieme?
Impossibile rispondere.
Situazione talmente ben nascosta che, solamente dopo la sua morte , tutti seppero del cancro terminale già da tempo dentro di lui.
Ecco che la natura riservata, la discrezione e la chiusura emotiva, o forse le ferite emotive infantili, avevano avuto comunque la meglio.

L’ultimo anno di vita del grande artista è un periodo fatto di silenzio e solitudine, durante il quale l’unico probabile rumore è lo scroscio degli applausi degli anni d’oro, meritati nei teatri del mondo, che Ettore sente riecheggiare nel silenzio assordante della sua dimora.

Grazie a quella voce vellutata dal timbro scuro, dalla dizione perfetta italiana, dalla elegante e garbata presenza scenica senza mai cadere nell’overacting, a quell’innato savoir faire e a quella generosità tipica di chi ha sofferto e ti vuole tendere quella mano che non ha potuto ricevere; ne esce un profilo umano-artistico complesso, fuso in molte parti, impenetrabile, interpretabile in mille modi…tormentato come un eroe romantico, un bohemien squattrinato, un monarca tradito, un marito tradito, un Re folgorato, un buffone di corte deriso…o tutte queste forti emozioni vitali racchiuse assieme…Un teatro tragico che si fonde con la realtà feroce della vita.
Il 25 gennaio del 1967, Ettore Bastianini, muore a quarantaquattro anni nella splendida, malinconica e Catulliana cornice tombale di Sirmione, consegnando alla storia una delle voci più suadenti, forti, tragiche e bronzee mai udite in Teatro.