E LA CHIAMANO ESTATE

di


“…Questa estate senza te..”
“Tornerà un’altro inverno, cadranno tutti i petali di rose, la neve coprirà tutte le cose…ma poi un’altra estate tornerà…”
Più o meno così cantava, andando a memoria, il Crooner italiano Bruno Martino col suo primo brano e col suo standard jazz internazionale degli anni 60, riferendosi a un amore perduto in quella che dovrebbe essere ancora la stagione più bella dell’anno, fatta di controsensi, di amore-odio, di “non vedo l’ora che arrivi” e subito dopo “non vedo l’ora che finisca”, poi di “peccato che sei finita” e di attesa che ritorni.
Bandiamo subito le nostalgie tipiche di chi sta invecchiando e analizziamo i fatti di un mondo estivo che c’è sempre meno, se non quasi più o che senz’altro si è già trasformato.
L’estate odierna pare diventata un supplizio.
Che l’età che passa tiri anche brutti scherzi può essere, ma attenzione a confondere l’avanzare lamentoso degli anni e di supposte epoche migliori che furono, con dati di fatto.
Quaranta anni fa, l’estate godeva di un clima mediterraneo portato dal mitico anticiclone delle Azzorre. Ventilato, tempo stabile, umidità bassa, cielo terso, 30 piacevoli gradi in Agosto, tramonti arancio, ore blu, albe fra l’azzurro e il rosa, sbalzo termico notte-giorno fantastico per il recupero, ivi comprese le fresche serate. Tutto concorreva a mettere di buon umore, certo, gioventù e maggior distanziamento sociale compresi davano una mano.
Quindi, cambiamento climatico peggiorato indiscutibilmente, esiste un’altra Estate oggi che non è nervosa solamente per un clima che stressa, ti fa schiumare come un Appaloosa, spessissimo ti impedisce di vivere bene in città finalmente semideserte che sarebbero tutte per te…ti spinge al mare ma un mare costoso, iper intasato, disservito…anzi no, vado in montagna… dove però le temperature pure qui al massimo sono diventate collinari in estate e senza neve in inverno.
Sappiamo ormai tutto. Speriamo, ma ci troviamo sempre più in un affollato girone dantesco con caldo, stanchezza, mancanza di recupero psico-fisico, troppa gente.
In mezzo a un clima impazzito che oltretutto uccide, non essendo più l’amico garbato di una volta, queste nuove estati, focus dell’articolo, sono diventate stagioni profondamente pressanti, claustrofobiche e, se non bastava, mai “disconnesse”.
Sono le estati della tecnologia che non ti abbandona mai, che in un qualche modo ti tiene legata/o a quel mondo che stai attendendo tutto l’anno di lasciare momentaneamente per proiettarti in scenari onirici e riposanti, che decenni fa avevi per forza e che ora non trovi.
Ecco un’altra differenza sostanziale. La connessione-disconnessione (Temperature a parte).
Il rimanere sempre collegati col tuo mondo e non connetterti col mondo della vacanza, unitamente a densità umana, costi, clima infernale e varie, diventano in finale situazioni di distress con le quali fare malvolentieri i conti anche nella più attesa stagione dell’anno.
La connessione continua, le pressioni lavorative di chi è in azienda quando tu sei in vacanza, i conflitti, le scadenze finanziarie e così via sono tossine che ti seguono.
Almeno, direi, regola che vale per boomer e generazioni x, ai quali mancano quegli spazi di un tempo pieni solo di cose da poter fare o fantasie da avere tipiche di quando non c’erano cellulari e social. Aspetto di vita incomprensibile alle nuove generazioni, bombardati da continui stimoli elettronici e virtuali obbligati, i quali diventano surrogati insoddisfacenti di rapporti reali, momenti di sana noia, spazi vuoti da riempire con ben altro possibilmente più carnale o spirituale, sociale, umano.
Queste estati sudaticce, asfissianti, iperconnesse, troppo chiassose, supercostose e faticosissime sono diventate, spesso, un incubo che inizia sin dalla sua programmazione per tempo, ennesimo motivo di distress già prima di partire…se poi i voli o i treni partono…se i lavori stradali lo permettono, se i tour operator sono affidabili, se le strutture ricettive si sono organizzate, se il tempo ormai instabilmente pericoloso o stabilmente caldo ossessivo ti permette di fare almeno quelle cose che sempre più frequentemente non riesci poi a fare.
I numerosi momenti vuoti, un tempo motivo perfino di creatività, giochi di società, interazioni, dialoghi, nuovi rapporti ecc, oggi sono riempiti dai device, tuoi padroni, i quali ti propinano situazioni che non vivi ma che osservi da spettatore passivo o da collega sempre reperibile.
Il valore della tecnologia, che riconosco in toto come indiscusso rappresentante d’innovazione e crescita, dovrebbe però essere più olistico, più bilanciato, più responsabile. Lo si dice spesso, ma ci si sofferma un po’ meno a considerare che:
Isolamento sociale da social, stress da iper connessione, livelli di comunicazione col prossimo superficiali, climi insopportabili, perdita d’empatia, penalizzazione della qualità relazionale anche fra familiari, sovrastimolazione digitale che inquina la concentrazione, sovraccarico cognitivo, omologazione culturale standardizzata e via ancora e ancora, sono solo alcune voci che proprio la mancanza di introspezione, perchè distratti da cotanta tecnologia, ci impedisce di affrontare.
Allora, per godere del positivo che l’Era attuale ci riserva coi suoi pro e contro che non vorrei quantificare, spero in una educazione all’uso di questa Era.
Fatta di avanguardia, con un occhio al passato e con ciò che di bello, quest’ultimo, portava con se’ .
Un ritorno alla moderazione comportamentale per ritornare un po’ ad essere quelli che si parlavano, che si conoscevano, che giocavano, che si accontentavano, che si annoiavano…di quella noia che però ti teneva connesso con la gente, stimolava alternative creative, favoriva la riflessione, rafforzava la resilienza emotiva e, forse, ti dava anche più benessere psicologico.
Sto invecchiando, adoro il progresso, ma certo che anche la nostalgia di quei momenti, di quei colori, di quei rapporti, avevano un che di formativo e curativo.