Il cambiamento generazionale in atto richiede una riflessione anche in termini di tipologie di reato e di modalità attuative dello stesso. Se è vero che si starebbe assistendo a un’escalation in termini di violenza negli agiti da parte dei giovani adulti, quanto però risulterebbe essere di particolare preoccupazione concernerebbe la reazione morale dinnanzi alle condotte agite. Oltre alle lacune educative da parte genitoriale, è necessario porsi l’interrogativo della responsabilità sociale. Pur parlando in ogni ambito di inclusione sarebbe il caso di chiedersi quanto in realtà questo concetto venga realmente assimilato in termini di rappresentazione morale. La società contemporanea tende sempre più verso l’individualismo andando al contempo a fomentare il bisogno di una costruzione di un sé sociale, maggiormente virtuale, rappresentativo di modelli di perfezione raggiungibili con modifiche di foto e video, ma spesso in antitesi o in dicotomia con il sé autentico. L’effetto sarebbe quello della creazione di una scissione tra sé reale, sé desiderato e sé sociale. Questa disgregazione risulta essere difficilmente ricomponibile soprattutto se sono presenti labilità afferenti dal sistema ecologico o relative a caratteristiche personali. Se andiamo a inserire queste riflessioni all’interno delle condotte criminali correlandole alla tendenza alla pubblicazione sui social nella speranza che il proprio contenuto divenga virale, ci troviamo dinnanzi a un paradosso. Se infatti il disimpegno morale delle autosanzioni morali implica l’autoinganno, poiché non si può ingannare sé stessi nel credere qualcosa se al tempo stesso si sa che esso è falso, il modo migliore per autoingannarsi veramente risulta quello di mantenersi volontariamente non informati, in maniera tale da poter autoassolversi più agevolmente dalle proprie responsabilità. Non si farebbe nulla per cercare le prove della propria colpevolezza o degli effetti nocivi delle proprie azioni e il mondo social fungerebbe da coadiuvante del modo in cui sono strutturati i sistemi sociali. Oltre a fare i conti con l’autocensura, i giovani tenderebbero in misura sempre maggiore a preoccuparsi di come appaiono agli occhi degli altri, con l’aggravante che, se una volta il deterrente era la minaccia di sanzioni sociali per le condotte moralmente reprensibili, ora l’esigenza del like trasforma la condotta reprensibile in un elemento di riconoscimento. Si consideri che, nel corso dello sviluppo, vengono sperimentati differenti sé e il processo di costruzione dell’identità termina con l’integrazione degli stessi Uno scollamento così importante come quello in precedenza descritto, unitamente a un aspetto educativo che giustifica oltremisura qualsiasi tipologia di condotta, determina come la derealizzazione da parte degli adolescenti nel momento in cui compiono determinate azioni diventi un vero e proprio alibi morale. Non ci si avventura in una condotta lesiva se non si riesce a considerarla eticamente corretta per cui le giustificazioni sociali e morali finiscono per nobilitare le pratiche dannose investendole di scopi onorevoli e, al contempo, i mezzi nocivi sono giustificati appellandosi a fini giusti e meritori. L’imperativo morale consente di preservare il senso del proprio valore persino quando si nuoce ad altri e, in questo consenso, la quantità di like rappresenta un’ulteriore legittimazione perché rappresentativa di quel riconoscimento sociale tanto ricercato.
Deragliamento morale
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