Parlando di critica letteraria italiana è difficile non imbattersi in Edoardo Sanguineti, tra i più eminenti studiosi della nostra storia. Se fosse ancora vivo il prossimo 9 dicembre avrebbe compiuto novantasei anni. Si potrebbe parlare di molte cose sul suo conto: perché nella sua lunga carriera Sanguineti è stato non solo poeta, romanziere, autore di teatro, ma anche saggista e studioso (di Dante, fin dalla tesi di laurea sui canti di Malebolge), commentatore di poesia e curatore di antologie poetiche (dai Sonetti della scuola siciliana del 1965 alla rivoluzionaria Poesia italiana del Novecento, del 1969). Con un autore il Critico ebbe però un rapporto privilegiato che durò per tutta la vita, Dante per lui fu linfa vitale, fin dai primissimi lavori, a cominciare da Triperuno (Milano 1964), raccolta di tre poemetti, l’ultimo intitolato Purgatorio de l’Inferno, che Sanguineti chiama “cantiche”, a imitazione dell’architettura della Divina commedia. Siamo in anni non lontani dal lavoro di tesi, all’università di Genova, sotto la guida di Giovanni Getto, sui canti di Malebolge (Inferno xvii-xxx), poi diventata un saggio critico, Interpretazione di Malebolge (Firenze 1961) – Laborintus, la prima “cantica” del Triperuno, è dello stesso anno della laurea, il 1956. Quello con Dante è un rapporto del tutto particolare poiché esso si realizza e si concretizza tra critica letteraria ed esperienza poetica diretta. Nella poesia Sanguineti esercita l’esperienza della Commedia. Questa è un’esperienza che si apre con Triperuno e si chiude con Il gatto lupesco. Poesie 1982-2001 (Milano 2002), “raccolta di raccolte” in cui è facile riconoscere, nelle femmine di animali dell’Alfabeto apocalittico (“le lonze, le leone, le lupesse / limano lingue di licantropesse”), le “tre fiere” del primo canto dell’Inferno; e in cui la terzina iniziale della Commedia risuona chiaramente nella settima strofa dell’Arpa magica: “tanta gente a cavallo, che ci viene, / se la trova nel mezzo del cammino: / se la ripesca nella selva oscura, / che stava mezza morta di paura”.
Il dantesco che è in Sanguineti non si esaurisce però nella sola poesia, ma sboccia anche nel teatro (V. Pilone, Dante nella narrativa e nel teatro di Sanguineti, in Dante. Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri, anno VIII, 2011, pp. 105-133). Dante è per Sanguineti un continuo punto di riferimento e ispirazione. Proprio su questa linea in Laborintus II, testo per musica commissionatogli in occasione del centenario dantesco del 1965, il Critico inscena una rassegna delle cose del mondo, sul modello di quell’enciclopedismo medievale che da sempre lo affascinava e che nella Commedia gli appariva perfettamente organizzato.
Ciò che però Sanguineti ci ha lasciato di più importante su Dante sono i suoi tanti studi. In un intervento sulla didattica letteraria di una quarantina di anni or sono, il critico, con il gusto dell’estremizzazione del paradosso che lo contraddistingueva, enunciava una sfilza di sentenze solo formalmente contraddittorie, tra queste: «insegnare è impossibile, imparare no» (E. Sanguineti, Insegnare la letteratura, in La missione del critico, Genova, Marietti, 1987, pp. 202-215). Poi continuava dicendo che anche insegnare può essere in potenza possibile, solo nel caso in cui il docente riesca a corrompere l’alunno con le sue idee. Le lezioni di Sanguineti incarnano proprio tale idea dell’insegnamento, anche se tale tipo di approccio attrattivo presuppone una modalità orale, degna dell’eros. Il corso di lezioni 1988-1989, in parte ancora inedito, si incentrava sul tema della lode nella letteratura delle origini (E. Sanguineti, Diario di un venditore di diari scolastici e di uno studente, in Scribilli, Milano, Feltrinelli, 1985, pp. 229-231). Il corso si incentrò in particolare sulla lirica di Guinizzelli per poi concentrarsi sulla Vita nuova (G. Guinizzelli, Poesie, a cura di E. Sanguineti, Milano, Mondadori, 1986; D. Alighieri, Vita nuova, a cura di E. Sanguineti, Milano, Lerici, 1965). Dante assorbì così tanto gli sforzi di Sanguineti che le lezioni poco si concentrarono in realtà sul tema della lode e non giunsero mai a Petrarca, invece, in programma. Quello tra Sanguineti e Dante fu un rapporto complesso e intricato, ma che può essere ricostruito chiaramente mediate le sue pubblicazioni, tra queste sicuramente Interpretazione di Malebolge, Tre studi danteschi e Il realismo di Dante. Sanguineti si dovette scontrare anche con l’orizzonte crociano che ormai aveva ben definito e delineato la critica dantesca. Il Sanguineti più crociano è sicuramente quello degli ultimi due saggi: Dante reazionario e Il plurilinguismo nelle scritture novecentesche. È interessante rilevare come dalle lezioni di Sanguineti emergano più elementi significativi e auspicabili di approfondimento: metodologia didattica, critica dantesca e attività letteraria. È, inoltre, interessante notare le analogie e le differenze tra le lezioni di Sanguineti e la sua critica dantesca edita. Le lezioni, in primis, si caratterizzano poiché ognuna di esse ha una domanda/titolo che fungeva da incipit. Solitamente si caratterizzava per i tratti paradossali o iperbolici. Da tale spunto originava la lezione, la quale mediante quaestiones minori cercava di dare una adeguata risposta al quesito. «Qual è la novità della Vita Nuova?». Le domande titolo costituiscono un tratto distintivo della critica di Sanguineti. Questo è un tratto ascrivibile non solo alle lezioni, ma anche alla critica edita, si pensi a Laborintus o ancora a Erotopaegnia e Purgatorio dell’Inferno. Quello del quesito incipitario è un motivo con il quale Sanguineti partendo dal caos universale del quesito, argomentando riporta ordine nel cosmo. Il fuoco non risiede nel caos ma nel dramma del suo riconducimento all’ordine. In lui c’è un intrinseco bisogno di enumerazione e catalogazione, perciò si rispecchia molto nell’enciclopedismo medievale rappresentato da Dante stesso. Le lezioni, forse ancor più della critica edita, sottostanno a tale logica della catalogazione.