Audrey Hepburn: diva per caso

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Un’icona senza tempo. Era nata nel 1929 a Bruxelles da padre banchiere inglese e madre baronessa olandese. Di lei ho trovato notizie in libreria perfino nel reparto dedicato alle ricette di cucina. Era stato uno dei figli a raccogliere le ricette che lei adorava, dove al primo posto aveva messo gli spaghetti al pomodoro e basilico. È stata chiamata con gli alias più bizzarri: Gigì, Sabrina, Natasha, Holly…solo alcuni dei tanti personaggi interpretati nei suoi famosissimi film. In lei si fondevano bellezza e bontà. Un esempio di umiltà, riservatezza, rarissimo nella vita privata e ancor più nel mondo dello spettacolo. Non una santa ma un’attrice raffinata e una donna eccezionale. Per puro caso una diva. Da piccola desiderava diventare una ballerina. Da giovanissima era danzatrice nel West End londinese per poi diventare star internazionale dedicandosi all’infanzia in favore dell’Unicef. È stata la donna più fotografata, ammirata e imitata di tutti i tempi. Una stella intramontabile, esempio di eleganza. Una nuova bellezza che incarna la ragazza della porta accanto, inconsapevole del suo fascino, amichevole e dolce con quel taglio di capelli sbarazzino e sopracciglia a virgola. Raggiunge la fama in un periodo storico in cui il ruolo della donna sia nel ruolo pubblico che in quello privato è continuamente ridefinito. In Vacanze romane (1953) e poi in Sabrina (1954) è molto lontana dalla bomba sexy alla Marylin Monroe. Audrey stabilisce un nuovo standard di bellezza: alta magra, gambe lunghe, la testa piccola valorizzata dai capelli corti, il collo lungo da cigno, abiti piuttosto accollati…Uno stile personale: pantaloni a sigarette e le ballerine. Un metro e settanta di altezza e 48 Kili di peso, taglia 38. Poi diventa più ricercata, più glamour. Colazione da Tiffany (1961) è l’apoteosi degli occhiali da sole e del look superaccessoriato: perle, borse, cappelli…. Si chiamava in realtà AudreyKathleen van Heermstra Hepburn-Ruston, belga di nascita, olandese dalla parte della madre baronessa, americana per il primo matrimonio e poi italiana. Aveva gli occhi più belli del mondo. Una vita molto complicata fatta di abbandoni da parte del padre e poi la guerra tra Germania e Inghilterra che la vide rifugiata in Olanda. Qui seguì corsi di ballo, frequentò il conservatorio finché i tedeschi invasori nel 1940 non sfilarono sotto le finestre della sua casa ad Arnhem. Il fratellastro si rifiutò di entrare nella gioventù hitleriana e venne spedito in un campo di lavoro in Germania. Audrey dopo aver avuto espropriati tutti i suoi beni di famiglia ebbe parte attiva nella resistenza. Il biennio 1942-44 fu tremendo, lei stessa vittima nel ’44 di un rastrellamento tedesco volto a trovare donne da far lavorare nelle cucine degli ospedali e dei campi militari. Durante la sosta di un corteo approfittò per scappare e rifugiarsi in uno scantinato portando con sé un tozzo di pane e una bottiglia di succo di mele. Rimase in quel loculo tre settimane alla fine tornò a casa malata di itterizia che l’aveva ridotta in gravi condizioni. Dopo la liberazione da parte degli alleati Audrey aveva 16 anni: anemica e mal nutrita ma felice di essere viva. Finalmente poteva dedicarsi alla sua passione: la danza. Proprio in questa scuola venne notata da un regista olandese che la prese per una piccola parte in un film: serviva una ragazza carina che avesse un contegno dignitoso e esprimesse sofisticatezza. Così iniziò la sua carriera cinematografica. Impresari e registi rimanevano abbigliati da quella ragazza dotata del sorriso più seducente, infantile, radioso. Come l’abbiamo visto in Vacanze romane, film indimenticabile che le portò una fortuna inimmaginabile. Questa donna ha fatto un’epoca con il suo stile inconfondibile: il suo tubino nero rimane intramontabile. Uno stile, con un tocco di malizia che la resero unica. Estremamente femminile e di una grazia incantevole con il chilometrico bocchino da sigaretta oltremodo speciale. I suoi personaggi sono donne bambine, mai lolite. È portatrice di sentimenti inespressi come in My Fair Lady elegante e insieme sbarazzina, solo apparentemente fragile. Il pubblico resta attratto da questa figuretta ammaliatrice, minuta, mescolanza di innocenza e voluttà. Audrey lascia un segno profondo come persona e come attrice. Il regista Billy Wilder ne parla come una donna di vera classe, unica per eleganza. Il primo figlio Sean avuto da Mel Ferrer che dedicò alla madre una importante biografia intitolata A. H. Un’anima elegantemostra come l’attrice sia stata una donna divisa in tre parti: la carriera d’attrice, il ruolo di madre, la devozione per la causa UNICEF. Il figlio non parla mai dell’attrice famosa, ma della persona, della madre affettuosa, accanto a lui ogni giorno. Scrive: “Lei non si rendeva conto di quanto fosse attraente o elegante. Era sé stessa”. Sarà la paladina dell’emancipazione femminile. Un’anticonformista invidiata perfino dal marito Mel. Audrey capace di incantare l’immaginazione. Poi stanca del cinema si dedica ad attività umanitarie per conto dell’UNICEF di cui ne sarà ambasciatrice. Mette ardore e sensibilità straordinarie verso quei popoli ma tornando da un viaggio in Somalia accuserà i sintomi di un cancro al colon. Muore a 63 anni il 20 gennaio 1993 in Svizzera dove è sepolta.