L’obiettivo europeo di Confimi Sanità è anche la salute della manifattura
Quando queste righe saranno stampate l’Europa avrà un nuovo Parlamento.
I rappresentanti dell’organo legislativo eletti durante le votazioni dei cittadini dell’Unione del 6-9 giugno resteranno in carica per cinque anni, fino al 2029.
Appena un anno prima rispetto agli obiettivi dell’Agenda 2030, il programma di Sviluppo sostenibile sottoscritto dai Paesi dell’Onu ormai nove anni fa.
Tra i 17 obiettivi dell’Agenda, il numero 3 recita: “Assicurare la salute e il benessere per tutti e tutte le età”. Perché il benessere del Pianeta si misura sulla salute dei suoi abitanti. Ma se è così, perché tra i sotto obiettivi del punto compare a più riprese la parola “farmaco” ma non si ha traccia dei “dispositivi medici”?
Proprio l’Ue infatti si è preoccupata di regolamentare il mercato interno dei dispositivi medici.
A partire dal 2017 quando è stato sviluppato il Nuovo regolamento dispositivi medici che sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2020 e che è stato posticipato a causa della pandemia prima al 2021 e poi al 2024.
Con alcune eccezioni che prenderanno il via nel 2027 e 2028. Una pluralità di date che di per sé rendono complicata l’applicazione.
Al momento le aziende produttrici – e con loro le forniture per il SSN – stanno subendo un cambio di paradigma: dal 2017 fino a maggio 2021 si è convissuto con le direttive sui dispositivi medici che avevano ben saldi due principi: la tutela della salute pubblica e la valorizzazione del settore produttivo.
Oggi invece sono alle prese con un Regolamento europeo che, seppure abbia alla base la volontà di creare un quadro normativo solido, trasparente e sostenibile che migliori la sicurezza clinica, mette in serie difficoltà i fabbricanti.
Per capire meglio le preoccupazioni avanzate, anche tramite interrogazione all’europarlamento, da Confimi Sanità è bene citare qualche numero che consenta di inquadrare il settore: in Europa ogni anno vengono prodotti circa 28 mila tipologie di dispositivi medici da oltre 33mila aziende di cui 4500 italiane.
Nel nostro Paese, il 95% delle aziende produttrici di DM sono per lo più PMI che, nonostante le piccole dimensioni, occupano oltre 110mila lavoratori. Cittadini che contribuiscono a garantire la salute del Paese e che ora rischiano il proprio lavoro.
Eppure, a certificare i dispositivi per esser immessi sul mercato in tutta Europa ci sono al momento (maggio 2024) solo 49 organismi preposti contro i 50 della precedente direttiva. Altri 15 sono in attesa di accreditamento.
Comunque un numero troppo basso per fare fronte alle esigenze del mercato ed ai tempi dilatati per ottenere il certificato MDR (almeno raddoppiati).
Questo è uno degli aspetti più drammatici.
Confimi Sanità infatti stima che solo il 25/30% dei dispositivi medici sia stato certificato entro maggio 2024, deadline di mercato per i DM marcati con la precedente direttiva.
In più, è stato introdotto un ulteriore periodo transitorio per i certificati sotto vecchia direttiva 93/42, che dovranno adeguarsi entro fine 2027/2028. Una pezza per far fronte alla situazione di emergenza.
Così, il 70-75% dei dispositivi resta pendente in attesa di ottenimento di MDR con il rischio concreto di restare fuori dal mercato, compromettendo il sistema sanità e di conseguenza i cittadini-pazienti.
Ma non è tutto. Ci sono altre due criticità che non si possono non sottolineare: la burocrazia e i costi.
Sono state emanate oltre 120 linee guida per fabbricanti e organismi notificanti che invece di chiarire i punti più controversi del regolamento hanno creato confusione nella comprensione del percorso certificativo, con conseguenti allungamenti di tempi e aumento di costi.
Venendo a quest’ultimi, gli imprenditori del medical device si trovano di fronte a tariffe orarie degli ON comprese tra i 290€ e i 390€, con un numero di ore triplicato per la valutazione di ciascun fascicolo tecnico.
Il cambio di regolamento costa alle aziende tra le 5 e le 10 volte in più per ciascun dispositivo.
Intanto, i fabbricanti negli ultimi cinque anni hanno ridotto gli investimenti in R&S e dirottato il personale verso il regolatorio.
La conseguenza è una grave perdita di competitività rispetto agli altri due competitors: USA e Cina.
E se questo è lo scenario, ben chiare sono le richieste politiche del comparto.
“È quanto mai necessario e urgente che si aprano canali rapidi per la certificazione di nuovi organismi notificanti, basti considerare che in Europa ne abbiamo altri 15 in attesa di accreditamento e per la sola Italia ne serviranno almeno altri 5”, spiega Massimo Pulin, presidente nazionale di Confimi Industria Sanità.
“Non ascoltare il comparto avrà un costo sociale altissimo: da una parte avremo un sistema sociosanitario privato della strumentistica di qualità frutto della ricerca costante e degli investimenti in innovazione realizzati dall’impresa privata italiana, e dall’altro significa la chiusura di migliaia di imprese nel giro di pochi anni con i conseguenti costi sociali di disoccupazione”.
In sintesi, lo stato attuale in cui versano le imprese produttrici di dispositivi medici è presto descritto: “Le imprese sono messe fuori mercato perché impossibilitate ad adeguarsi al regolamento e se le imprese sono a rischio lo sono i lavoratori. E senza lavoro non è certo garantito il benessere dell’obiettivo 3”, conclude Massimo Pulin.