I media spesso presentano a un pubblico non in possesso di strumenti in grado di comprendere quali possano essere le reali dinamiche che soggiacciono ai fatti, storie di comportamenti violenti come atti persecutori, omicidi, violenze fisiche, psicologiche e sessuali che avvengono all’interno di contesti emotivi, familiari e relazionali. Inoltre, tali narrazioni, sono soventi condotte non da tecnici ed esperti in grado di fornire al pubblico, in maniera chiara, gli elementi che sono alla base di determinate condotte, ma da opinionisti che esulano dalle competenze della materia.
L’effetto è quello di fornire al pubblico delle eccessive esemplificazioni, delle nozioni spesso errate e eccessivi qualunquismi, che indirizzano i fruitori delle notizie verso ragionamenti e conclusioni basati su stereotipi pregiudizievoli e bias cognitivi.
Un altro aspetto riguarda la struttura della psiche umana. Nel corso di evoluzione ci siamo adattati in modo che la memoria ricordasse e rievocasse più facilmente le esperienze negative rispetto a quelle positive. Questo semplicemente perché, in quanto fallibili, per una questione di sopravvivenza risultava più adattivo ricordare un frutto malevolo rispetto ad uno buono. Oltretutto siamo fallibili e non possiamo processare tutto in maniera consapevole, per cui si sono create delle scorciatoie chiamate bias cognitivi in grado di consentirci la strada più rapida, seppure non sempre la più efficace, nel momento in cui vi sono troppe informazioni da elaborare in un lasso di tempo troppo breve. Tra questi abbiamo i “negativity bias” o “negativity effect” che fanno sì che si sia più reattivi dinnanzi a uno stimolo negativo, come nel caso di insulti o offese, rispetto a uno positivo o neutro, al punto che le informazioni negative vanno a incidere maggiormente su quelle positive in un processo di valutazione di qualsiasi natura.
La comunicazione mediatica imperante è costellata di discussioni spesso troppo animate, dove la condotta aggressiva è andata man mano a sostituire l’utilizzo di modalità di ascolto e confronto costruttivo. È chiaro come questi “negativity bias” vengano così rinforzati, ponendo l’auditore in un continuo stato di allerta. Momenti che dovrebbero essere dedicati all’ascolto, alla comprensione, al rilassamento, vengono caricati di ira, comportando un aumento dell’aggressività anche nella quotidianità. Questi elementi vanno inoltre a spiegare come lo stigma sociale perduri nel tempo e difficilmente venga cancellato.