LA PUGLIA, REGINA A PIEDI SCALZI

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Dopo molti anni sono tornata in Puglia,  scegliendo volutamente l’inverno, nel desiderio di arrivare al cuore della regione, senza la caotica interferenza del turismo estivo che stravolge luoghi, le persone, gli odori e i silenzi che sono la vera colonna sonora degli spazi immersi fra la terra e il mare. 

Sebbene l’Italia sia diventata un unico regno fin dal 1861, trovo che la bellezza del nostro paese risieda anche nella netta diversità tra le sue regioni, non solo a livello paesaggistico, ma anche per la gente, i sapori dei piatti, le architetture, le usanze.

Così, arrivando in Puglia, ci si ritrova in un altro mondo. 

Fin da subito si percepisce un’accoglienza aperta, come i cieli vividi che sconfinano sul mare e una schiettezza senza maniera, spontanea e forte come il vento che ti avvolge, da ogni direzione, lasciandoti l’anima un pochino spettinata. 

Fra le tante città, trovo che Lecce sia quella che più rappresenta il contrasto fra la storia contadina e il trionfo dell’arte e il suo passato glorioso. Il Barocco è la misura dell’opulenza creativa, eretta sul tufo, morbido come una carezza. 

Ma la vera Puglia la si scopre nei piccoli borghi sconosciuti. Case bianche arroccate fra distese di ulivi. La piazza del paese, luogo nevralgico delle chiacchiere fra gli anziani consumati dal sole, mentre le mogli sono indaffarate a far splendere case già pulite.  Ortali dove i gatti sembrano statue dipinte a stucco e vasi colorati di basilico e rosmarino.

Ripenso alle vacanze estive trascorse qui, quando ero bambina. Una terra ancora più grezza, sagre di paese, croccanti di mandorle e noccioline, sbriciolate ai tavolini dei bar. Luci e improbabili cantanti che rubavano dal palco un istante di celebrità. 

E il mercato del pesce la mattina al porto. Pescatori stanchi, turisti curiosi, ciabatte da mare sulla banchina, fichi d’india offerti alla bancarella.

Le ceramiche, i cocci dai colori brillanti fatti interamente a mano, così come i cesti intrecciati con il legno d’ulivo. 

Lasciando il Salento mi sono fermata in un oleificio e mi sono fatta raccontare l’immane tragedia che ha colpito tempo fa gli ulivi, a causa della xilella, un batterio che si trovava su una pianta di caffè proveniente dal Portorico. 

Una distrazione doganale in Olanda che ha messo letteralmente in ginocchio questa terra di lavoratori così fieri. 

Milioni di euro, migliaia di piante soffocate che sembrano bruciate, lungo tutte le strade.

Piante che avevano fino a 3000 anni, ridotte a legna da ardere. 

E come accade purtoppo in Italia, fra burocrazie e promesse di aiuto, centinaia di imprenditori hanno perso tutto, compresa la storia agricola di intere generazioni.

Quasi mi commuovo a dirlo, ma i pugliesi sono così abbattuti che non hanno neppure quella rabbia addosso tipica di chi pensa di avere diritti.

Vanno avanti a spaccarsi la schiena. Le mani sporche di quella terra che ormai è sottopelle, come le impronte digitali di un destino segnato dal sole e dalla fatica.

Il sud è anche questo.

Il sud è il cuore delle nostre origini e la sua resilienza a volte ci spaventa ,quasi ci imbarazza. 

Ma sono la terra e la natura che tirano una riga dritta sulle nostre parole. 

Senza l’equilibrio ambientale siamo destinati a poca cosa.