Marco Tarquinio: Le prospettive di un eurodeputato di fronte alle grandi questioni globali

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In un momento storico segnato dall’aumento delle disuguaglianze, dalla recrudescenza di conflitti e dalla pressione crescente sulle democrazie liberali, il Parlamento europeo si trova al centro di una battaglia decisiva per i diritti fondamentali e la libertà. Marco Tarquinio, europarlamentare del Pd e già direttore di Avvenire, delinea una visione chiara e appassionata del ruolo dell’Unione Europea come baluardo di pace, dialogo e cooperazione in un contesto globale sempre più instabile. Con uno sguardo attento alle derive nazionaliste, agli effetti del ritorno di Donald Trump e all’emergere di attori autoritari, Tarquinio analizza le opportunità e le responsabilità dell’Europa per rafforzare la propria autonomia strategica, promuovere un nuovo multilateralismo e rilanciare il progetto comunitario. “L’Europa o è pace o non è”, sottolinea, in un invito a riscoprire i valori fondanti di solidarietà, uguaglianza e dignità.

In un contesto di crescente attacco ai diritti fondamentali, quale ruolo deve assumere il Parlamento Europeo per contrastare le derive autoritarie e garantire la difesa delle libertà individuali in Europa e oltre?

L’Unione europea è nata sugli ideali di pace, di dialogo, di diplomazia. Una visione considerata da molte parti quasi inconcepibile. Eppure, con quei valori, che sono stati di Spinelli e Schumann, di De Gasperi, Monnet, Adenauer e Delors siamo andati avanti, senza guerre e con un benessere in crescita, per ottant’anni. Inoltre, l’Unione europea ha codificato nel 2000 i diritti fondamentali in una Sua Carta: diritto alla vita, all’integrità, alla dignità; no a torture e a trattamenti degradanti, a schiavitù e lavori forzati. Il Parlamento europeo, unica istituzione comunitaria legittimata direttamente dal voto popolare, è il primo garante di tutto ciò. Ho votato contro questa nuova Commissione proprio perché sono preoccupato. Agirò da eurodeputato – sapendo bene di non essere affatto solo – per allontanare il rischio concreto di una deriva nazional-sovranista e xenofoba che va contro i valori di solidarietà, uguaglianza e libertà su cui si fonda l’Unione e frena (o addirittura capovolge) la spinta alla costruzione di una comunità federale.

Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, come dovrebbe l’Europa ripensare il suo ruolo globale per evitare il rischio di isolamento politico ed economico, rafforzando al contempo la propria autonomia strategica?

L’Europa deve far sì che la sua economia si sviluppi e che cresca la sua influenza politica in un mondo multipolare segnato dalle diseguaglianze e dai cambiamenti climatici che deve riguadagnare pace, equità e spirito collaborativo. Un mercato ben regolato, il ben-essere – anzi, come argomentano economisti a me cari, l’esser-bene – e la salvaguardia della “casa comune” sono necessari sotto diversi profili. Ne sottolineo uno: spendere di più in servizi alle persone e alle comunità di vita e di lavoro, invece che nel potenziamento di quello che Dwight Eisenhower definì una volta per tutte l’apparto militar-industriale. Ciò significherebbe produrre di più e meglio, rafforzare i propri scambi commerciali e culturali, ridistribuire. Oltreché favorire i più deboli. L’autonomia strategica vera della UE nasce da qui. Non produce morti e distruzioni, piuttosto apre la strada a un dialogo su ogni fronte e a vantaggio del nostro spicchio di mondo e dell’intera comunità internazionale. Tenendo conto ma non facendosi intimidire da nuovi-vecchi governanti, come Donald Trump.

Quale contributo ritiene che l’Unione Europea possa offrire oggi per promuovere la pace globale, specialmente in un contesto geopolitico dove l’aggressività di alcuni attori pone nuove sfide alla stabilità internazionale?

La tendenza ad aggredire cresce e non c’è da attendersi, in questo senso, che il ritorno di Trump alla Casa Bianca porti a un cambiamento di fase. Conosciamo idee e modi del presidente-tycoon, e sappiamo che la solidarietà non è proprio il suo forte. E l’esibizione e l’uso della propria egemonia, frutto di una capacità di sopraffare che è politico-militare e/o economica, accomuna Trump a molti altri attori globali. Statali e no. Penso alle Russia di Putin e alla Corea del Nord. Penso a multinazionali straripanti tanto quanto a Netanyahu, ai jihadisti di ogni risma come agli autocrati che moltiplicano la presa in Paesi di diversi continenti. Penso alle ambiguità della Cina di Xi. Viviamo in un mondo insanguinato da 184 guerre, grandi e piccole. L’Università svedese di Uppsala aggiorna da anni quest’atroce e incredibile elenco. Tanti attori sono ormai dotati di armi nucleari e comunque di distruzione di massa ed è una minaccia permanente la possibilità che qualcuno perda definitivamente il controllo. L’Ue ha un ruolo cruciale di fronte a tutto questo. Conta molto – e può contare di più – sul piano diplomatico se si presenta unita e fedele a idee cooperative e di progresso sociale condiviso e diffuso.

Ma in un’epoca in cui i valori democratici sono sempre più messi sotto pressione, come può l’Europa utilizzare il suo soft power per difendere e promuovere l’ordine internazionale basato sul multilateralismo, la diplomazia e la cooperazione tra le democrazie liberali?

Le nostre democrazie liberali possono, per definizione, favorire dialogo e cooperazione. All’interno e fuori del Vecchio Continente. L’ordine internazionale, mai totalmente stabile nel corso della storia, oggi è ancor più… disordinato. Ciò avviene per il malessere di una parte drammaticamente crescente di persone in tutto il mondo, per l’incremento delle disuguaglianze, per le attese deluse di molti Paesi che puntavano a entrare nei “salotti buoni” (o ritenuti tali). L’Europa deve saper essere il motore di una inversione di tendenza. Non si costruisce futuro armandosi, mettendo dazi vendicativi, facendo politiche autoreferenziali e di chiusura. Oppure impedendo che la ricerca scientifica e tecnologica sia disponibile per tutti, così come la conseguente conoscenza diffusa che permette e favorisce uguali opportunità. Riuscire in questa impresa – e l’Europa comunitaria un bel po’ di positiva pratica l’ha compiuta prima degli smarrimenti dell’ultimo triennio – non è semplicemente e positivamente l’esercizio di un soft power, ma il segno di un vero e profondo interesse per le persone, europeee o no. Un messaggio in chiaro, una sorta di concreta “lettera al mondo”, che nessun interlocutore potrà far finta di non capire. In sostanza, c’è da dar corpo al desiderio di pace che tutti sentono. Per tutti e tutte noi una sfida decisiva: l’Europa o è pace o non è.