Un comune denominatore delle tragedie particolarmente legate ai disastri naturali portatori di morte e distruzione è rappresentato dal fatto che, diciamo “quasi mai” (per eccesso di comprensione), ci siano interventi efficaci o tempestivi da parte della politica, incaricata di turno, alla sorveglianza territoriale o relativa alle concessioni appalto lavori.
Una supervisione efficace spesso latitante (quando va bene carente).
Ne abbiamo in tanti una lunga lista facilmente reperibile a rinfresco delle memorie più fallaci. E non è un fatto solamente nazionale. Probabilmente è universalmente generalizzabile.
Disastri che, per il vero (si scopre dopo), potrebbero essere evitabili o meglio altamente prevedibili e in conseguenza meglio gestibili, soprattutto senza scusanti data la moltitudine di tecnologie di controllo di cui si dispone, certamente nelle nazioni più avanzate.
Mi viene quindi facilmente da concludere, senza voler apparire superficiale e populista, che queste estese incompetenze gestionali della cosa pubblica sono evidentemente legate a pochezza manageriale dilagante nell’ esercizio delle funzioni. Non ammetto neppure la questione-scudo “mancano le risorse”…più avanti nello scritto vedremo il perché dell’inaccettabilità di questa ormai esausta motivazione.
Noi italiani ne sappiamo qualcosa, a partire dalle migliaia di promesse insolute che, ancora in questo momento mentre se ne scrive, vedono gente vivere dopo quasi un ventennio in condizioni traballanti, o devendosi far forza nelle ricostruzioni attraverso l’ausilio di un volontariato mai troppo ringraziato e una resilienza umana, che si libera nei momenti peggiori della nostra vita.
Un istinto alla sopravvivenza che attraversa e affronta queste principali fasi: disperazione – focalizzazione – reazione.
La debolezza, dicevamo, di molta gestione politica nelle tutele dei territori, negli interventi infrastrutturali, nelle burocrazie e nei dedali infiniti dei rimbalzi di responsabilità, spingono la gente a perdere fiducia nelle istituzioni, come ben sappiamo, ed a riporre fiducia nella forza della corporazione, nella solidarietà fra genti, nell’empatia; insomma in tutto ciò che ci riguarda da vicino e che sia alla nostra portata o meglio alla portata dell’uomo comune, capace di creare al bisogno un cordone fatto di tutti i valori citati poco fa, senza poter attendere oltre burocrazie, inettitudini, lassismo.
Sfiduciando, giustamente, l’autorità preposta e magari coprendola anche di insulti e fango come si è visto in Spagna dopo l’ultimo alluvione altamente mortale. Una rabbia comprensibile, senza cadere nell’insopportabile politically correct. Eh si, bisogna esserci dentro le cose. Da fuori e da lontano, al caldo, siamo tutti più Lord inglesi.
Ah! quasi dimenticavo la moralina che si aggancia ai focus dell’editoriale:
La Diga romana di Almonacid costruita dall’Imperatore Augusto (nel primo secolo!!) ha protetto dopo migliaia di anni in maniera superlativa la popolazione aragonese dalla furia di esondazioni alluvionali, salvando tutte le vite circostanti, lucertole comprese molto probabilmente.
Ecco, forse se ci affidiamo ancora alle creazioni dei Cesari, i quali ci hanno dimostrato che quando era ora di fare sul serio la “res-publica” sapevano dove e come mettere le mani; qualche possibilità di essere ancora al sicuro l’abbiamo. Più o meno come al contrario, parte di quelle costruzioni garibaldine odierne, costruite in zone fortemente sismiche che si sgretolano man mano che le guardi intensamente e per le quali si dà via libera ad appalti, autorizzazioni e improbabili certificazioni.
Insomma, i Cesari, oltre alla magnificente mentalità e ambizione imperiale hanno lasciato opere eccezionalmente ben costruite, dopo migliaia di anni ancora efficienti, nel modo più filopopolare possibile.
Ora che non li abbiamo più al Governo, almeno i migliori di loro, mi sa che ancora nei tempi a venire, il popolo dovrà salvare il popolo.
A proposito, chiudo con un amaro sorriso paradossale: NERONE e dico NERONE, è stato uno dei più prolifici committenti di grandi opere pubbliche, strade e infrastrutture della storia. Pensa un po’…