Sembravamo distratti ma in realtà si giocava al gatto e al topo, ogni tanto ci si scambiava un’occhiata di sottecchi quasi per controllare se uno dei due fosse avanzato seppure di un centimetro su quella supposta scacchiera, per comprendere che cosa, ammesso che ci fosse, stesse all’origine del crudele gioco che immediatamente dopo c’era sfuggito di mano.
D’improvviso, oltre ogni ragionevole dubbio capii: la sfida, la scommessa crudele era il vero fulcro, lo scopo affatto banale di quello stupido contrasto senza quartiere tra noi, peraltro gratuito; alla fine ci sarebbe stato sì un perdente e un vincitore, ma ciò non avrebbe avuto importanza, questo era scontato in partenza, sin da quando ci eravamo imbarcati in quella odiosa vicenda di cui entrambi eravamo pur sempre i protagonisti in attesa solo di sapere come sarebbe andata a finire, chi di noi sarebbe emerso e chi sarebbe invece affondato. Intendiamoci, così, tranquillamente e senza pretese, soltanto per gioco.
O forse per sfuggire, seppure per la durata di quella strana partita, alla noia senza tregua del quotidiano.
La sfida
di