Riflessioni di inizio anno scolastico

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A rientrare nelle aule di scuola in questi giorni di metà settembre sono oltre sette milioni di studenti, quasi settecentomila insegnanti di posto comune e oltre centottantamila di sostegno. 
La fatidica porta dell’aula è una specie di varco interdimensionale che separa e collega il mondo esterno da un lato e il luogo primariamente dedicato alla formazione e alla crescita personale e sociale dall’altro.
Nell’atto di superare quella soglia, di avviare il nuovo anno scolastico, nella mente di questi milioni di individui, docenti e studenti, si agitano girandole di pensieri, prendono forma emozioni, progetti, aspettative differenti le une dalle altre, un’infinità di piani che si incontrano e si scontrano nella persona e nel rapporto tra persone, tutti accomunati dal medesimo teatro: l’aula-classe.
Possiamo allora passare in rassegna alcuni di questi aspetti.
Le emozioni giocano un ruolo fondamentale, più l’alunno sperimenta emozioni positive più vivrà con piacere la scuola e l’apprendimento, tante più emozioni negative invece assocerà all’esperienza scolastica più questa sarà frustrante e nella vita adulta ricordata con sofferenza. È da qui, dalle emozioni, inoltra che si inizia ad affrontare una delle piaghe del nostro tempo: la dispersione scolastica, nelle sue differenti cause, forme ed espressioni.
Molti insegnanti stanno conoscendo i loro alunni per la prima volta e se in tanti tra gli studenti hanno avuto tra i banchi un trascorso positivo, e quindi approcciano con fiducia ed ottimismo a questo anno scolastico, molti altri hanno avuto maggiori difficoltà didattiche, relazionali, sociali. È a questi alunni che noi insegnanti dovremmo guardare con maggiore attenzione perché sono quelli che hanno maggiormente bisogno della nostra guida, della nostra fiducia nel fatto che tutti possano apprendere e migliorare. Tutti. Essere accoglienti, avere fiducia nei nostri mezzi e nelle loro possibilità, essere ottimisti, empatici e attenti ai loro bisogni e alle loro espressioni, dovrebbero essere imperativi per chiunque ha scelto questo mestiere.
Ugualmente dedicare un poco di tempo alla cura delle relazioni in classe, a costruire senso di gruppo e comunione del fine (team building) non è una perdita di tempo, ma un risparmio di risorse ed energie. Ogni goccia di attenzione che sottrarremo alla gestione del malessere scolastico e relazionale da parte degli allievi, infatti, potrà da questi essere dedicata alla propria crescita e apprendimento, e lo sarà.
Così come gli alunni, anche molti insegnanti sono preoccupati dalle classi che gli vengono affidate e hanno a volte paura di non riuscire a gestirle. Sono sensazioni e pensieri che possono essere affrontati alla luce di indicazioni che ormai in maniera chiara provengono dalla ricerca didattica sulla gestione della classe quali: creare dei momenti fissi e chiari di comunicazione tra alunni e tra alunni e docenti (assemblee periodiche sull’andamento della classe, dare la possibilità di comunicare per iscritto all’insegnante, ribadire continuamente la nostra disponibilità a brevi colloqui 1:1) e aumentare la collaborazione, il confronto, l’aiuto tra colleghi e la comunicazione con la dirigenza; essere presenti in classe, camminando durante la lezione per collocarci vicino agli alunni più distratti, prestare molta attenzione alla cura dell’ambiente e all’ordine; dare vita a routine sempre uguali e prevedibili.
Gli alunni hanno naturalmente un elevato stato d’ansia perché vivono l’aula e la scuola come un ambiente che non è sotto il loro controllo. Più rendiamo le lezioni prevedibili, più anticipiamo e spieghiamo cosa stiamo per fare, cosa ci attendiamo che imparino e che sappiano fare (obiettivi di apprendimento), più agiamo sempre nello stesso modo e insegniamo loro ad agire in classe sempre nello stesso modo, più si potranno rasserenare e, nuovamente, ogni goccia di risorsa sottratta allo stress di cercare di controllare un ambiente imprevedibile è una goccia in più che andrà ad alimentare il fiume dell’attenzione verso l’apprendimento e lo sviluppo personale. 
Prestiamo allora attenzione ad avere noi chiaro e a chiarire a loro, essendo poi coerenti nella pratica quotidiana, il come apriamo la lezione; il come gestiamo la fase della spiegazione, che dovrebbe essere breve e centrata sul modellamento e le dimostrazioni, per poi metterli subito a lavorare e intervenire sul feedback per aiutarli a capire e superare i propri errori; il come chiudiamo la lezione ricapitolando il percorso svolto permettendo così loro di “digerire metacognitivamente” i progressi e le nuove acquisizioni che si sono verificate durante la lezione.
Parlando di feedback non può che venire in mente l’ansia da valutazione che assale tanto gli studenti quanto gli insegnanti. Da questo punto di vista non possiamo che partire da una buona “Pedagogia dell’errore”, un approccio cioè che non mortifichi mai lo sbaglio ma, anzi, lo valorizzi come punto di partenza di ogni apprendimento significativo. Perché se è vero che l’apprendimento deve partire da ciò che i ragazzi già sanno (preconoscenze), è anche vero che riflettere sugli errori e comprenderne la causa e come evitarli è la via più sicura per apprendere, ossia per modificare in maniera stabile le proprie idee, procedure e convinzioni. Si fa ancora confusione tra valutazione e voto, ma se la prima è uno strumento per apprendere, per capire cosa si sbaglia e come invece bisognerebbe agire correttamente, il voto è solamente l’atto finale di un percorso, che andrà a certificare a che livello si è arrivati. Non bisognerebbe mai confondere il percorso con il traguardo.
Un ultimo pensiero non può che andare al digitale e alla tecnologia che con il PNRR sta inondando la scuola con attrezzature e corsi di formazione. Qui la sfida è difficile perché i docenti devono addomesticare e portare la tecnologia al servizio della didattica e degli apprendimenti mentre il rischio è di venire travolti da questa e ritrovarsi tra qualche anno con i magazzini pieni di materiali costosi e abbandonati, con decine di ore di corsi di formazione svolti senza una finalità concreta. Iniziamo allora da una domanda: a quale bisogno reale deve rispondere la tecnologia? Partiamo insomma dai bisogni educativi e di apprendimento degli allievi, e non dai bisogni di spesa dei ministeri e dalle mode del momento, forse così riusciremo a domare, almeno in parte, anche questa marea che si riverserà nelle nostre aule in quest’anno scolastico.