Il silenzio dei canarini

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All’inizio del secolo scorso le miniere di carbone non avevano sistemi di ventilazione, pertanto i minatori portavano con sé dei canarini in una gabbia per fare da “sensore” sulla concentrazione di anidride carbonica nell’ambiente sotterraneo; finché li sentivano cantare erano al sicuro, quando invece morivano era l’avvertimento di un ambiente tossico che richiedeva un’immediata evacuazione della miniera. 
Questa metafora è oggi attualissima per spiegare la situazione degli adolescenti e dell’aria tossica che respirano. I giovani come i canarini, segnalano il loro malessere con la  sofferenza, la paura, il disagio, la morte.
“Li ho uccisi perché mi opprimevano”. Sono queste le parole pronunciate dal diciassettenne di Paderno Dugnano che ha confessato l’omicidio della sua famiglia. 
La fantasia di sopprimere i genitori, vissuti come un ostacolo alla propria libertà, si annida a volte nella mente degli adolescenti, ma solitamente scompare crescendo. Purtroppo però, i fatti di cronaca degli ultimi anni ci dimostrano che alcuni ragazzi scelgono di dare corpo a questa fantasia. 
Il disagio di un ragazzo, spesso è invisibile e gestito dal giovane all’interno delle mura domestiche in maniera silenziosa e privata. Inoltre, molto spesso gli adulti mostrano grande difficoltà ad ascoltare cosa gli adolescenti abbiano da dire e a trattare temi difficili come la morte, il suicidio. Un tempo si  era più abituati a “familiarizzare ” con la morte: i nonni morivano in casa, si assisteva alla veglia funebre e al funerale; oggi purtroppo sempre più spesso i nostri anziani trascorrono, gli ultimi anni della loro vita, nelle case di riposo e i ragazzi apprendono della morte dei nonni spesso tardivamente e senza assistere ai funerali. 
Parlare della morte ai ragazzi, pur se un argomento difficile da affrontare, è dunque necessario, soprattutto perché gli adolescenti di oggi fanno sempre più fatica ad esprimere le proprie emozioni, in particolare quelle che la nostra società tende a rimuovere o nascondere: la rabbia, la tristezza, il dolore, la paura. I ragazzi hanno bisogno di parlare di morte e di suicidio, sia a casa che a scuola, perché sono temi a cui pensano ed è per loro una necessità evolutiva. É il passaggio a quella fase di sviluppo che Piaget definisce pensiero ipotetico-deduttivo, in cui si comprende di non essere più onnipotenti ma mortali.
Dovremmo dunque, come adulti, orientarci verso una riflessione sulla relazione educativa ,interrogandoci sulla nostra capacità di intercettare e ascoltare i bisogni e le emozioni dei ragazzi. Trascorrere con loro del tempo utile per la costruzione di un dialogo empatico, in cui si sentano liberi di esprimere anche i sentimenti più disturbanti senza morire asfissiati come i canarini, nel difficile tentativo di proteggere gli adulti dalle loro fragilità.