Essere, o non essere, madri: nessuno ci puo’ giudicare

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A fine gennaio di quest’anno sono diventata madre.

E così ho stravolto ogni priorità per lasciar spazio ad un protagonista indiscusso sul palco della mia vita: il nostro Amos.

È una nuova sceneggiatura, diversa ed impegnativa, giacché i registi sul set quotidiano sono solo due, io e mio marito, che nel nostro essere instancabili, confidiamo in un finale a lieto fine.

Se mi chiedessero cosa significhi essere madre, pur essendo una scrittrice, non troverei le parole giuste per rispondere: sarebbe ingeneroso ridurre a qualcosa di circoscritto ciò che di per sé è, emotivamente, infinito.

Sempre più di frequente si dibatte sulla questione del raggiungimento di una completezza femminile al dì fuori della maternità. 

Questo è un bene, poiché implica un graduale abbattimento di un tabù in apparenza incrollabile: l’equivalenza assoluta tra donna e madre.

Madre, ma non sempre mamma.

Perche’ l’intensità del cosiddetto istinto materno, restando in tema matematico, non può essere “calcolata” finché non la si prova, vive, e tocca con mano, testa e cuore.

Un figlio, a mio avviso, non dovrebbe tradursi in un obiettivo, in quanto un’avventura così emozionante merita un pizzico d’incoscienza e di sorpresa.

La mamma…
È sempre la mamma.

Dipende.

Ed ognuna di noi deve avere il sacrosanto diritto di vivere nella maniera che desidera l’eventuale attraversamento di un pensiero di maternità.

C’e’ chi, sulla difensiva, lo sfiora con timidezza, chi invece preferisce viverne ogni sua singola sfaccettatura.

Chi non vuole perdersi nulla, chi invece vuole proprio lasciar perdere.

Ed, infine, chi ne è indifferente a tal punto da rimuoverne a prescindere l’evenienza: “non mi tengo pronta, perché non lo sarò mai”.

È curioso, tuttavia, che nel corso della mia vita abbia trovato questo istinto anche in donne che non avessero figli e, in certi casi, persino disinteressate persino al ruolo genitoriale.

Essere madri è faticoso e logorante a livello mentale oltre che fisico, ma, soprattutto, per quante similitudini si possano riscontrare fra di esse, ognuna di noi vive, dal parto all’allattamento, dal rientro al lavoro alla gestione domestica, dallo svezzamento alla condivisione o meno sociale (e social) di questo evento, un sentimento unico e diverso.

Un groviglio di sensazioni, ansie e paure la cui matassa a volte risulta impossibile da disfare, complice anche la malsana abitudine di spettatori circostanti interessati a dispensare consigli inopportuni.

E questo sentirsi “Gesù nel tempio” di molte persone (come cantava De Andrè nella sua Bocca di Rosa) condiziona più di quanto si pensi il già fragile status di un neo genitore: non di rado, sono le medesime che infieriscono con domande fuori luogo e prive di tatto su chi invece ha scelto di non avere figli.

O non ha potuto.

O li ha avuti troppo presto, troppo tardi, troppi o troppo pochi.

E, nell’eventualità, se sono il frutto di una ricerca estenuante o semplicemente del caso: ma chiederlo…

È proprio il caso?

Questi tentativi di esplorazione intima, che io mi “diverto” a definire indagini di mercato personali non richieste, sono purtroppo consueti e fin troppo tollerati. 

E così una decisione tanto personale apre la porta ad un dibattito collettivo, alla strenua del gossip, e sottoposta al giudizio scrupoloso di un’agorà attenta (e anche un po’ morbosa).

A sua volta, il giudizio genera rimprovero, disapprovazione e biasimo, poiché è figlio della superficialità.

Eppure, “una notizia un po’ originale, non ha bisogno di alcun giornale”, sosteneva sempre De Andrè.

Ma tutto questo accade, sì.

Spesso.

In un rumoroso (e doloroso) silenzio e con l’intesa di una libertà ingiusta: quella di poter esprimere nel merito sentenze indesiderate.

In coda al buffet gratuito dell’ignoranza più becera, gli investigatori morali sono sempre pronti alla grande abbuffata, e schivarne i morsi è questione di sopravvivenza: credetemi, non esiste invasione peggiore di quella ai danni della propria integrità.

Nessuno ci può giudicare: nemmeno tu, madre o padre, famigliare o sconosciuto, amico o conoscenza occasionale, in tutti i casi consulente pericoloso.

Che non si saboti in alcun modo la libertà di una donna (e di un uomo) nelle sue scelte di vita poiché a repentaglio vi è la tutela del nostro benessere psicofisico.

È inoltre opportuno (e secondo me necessario) isolarsi anche da chi stila penose classifiche come quelle tra madri di serie “A” che allattano al seno ed altre di categoria inferiore poiché per scelta o necessità si affidano al latte formulato.

E viceversa.

Perché su una faccenda non ci sono dubbi: la madre degli imbecilli sarà sempre incinta.

In conclusione, sforzandomi a rispondere alla domanda riguardo il significato di maternità, potrei affermare almeno questo: per me essere madre è…

Essere per Amos la sua mamma.