MUKBANG, DIO-LIKE E SUICIDIO PROGRAMMATO

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La foto emblematica quì a corredo, è una sequenza del film culto LA GRANDE ABBUFFATA, cruda e spietata critica alla società consumistica, condannata all’autodistruzione già dagli anni 70, secondo il Regista.
Per i meno giovani che non hanno dimestichezza col film, la trama che il regista adotta è basata su pantagrueliche abbuffate durante le quali un gruppo di amici borghesi e annoiati decide di rinchiudersi in una villetta per suicidarsi con orge di cibo.
Libagioni e abbuffate fanno parte della storia umana da tempi immemori. Allor quando erano episodi (per lo più occasionali) associati a : vittorie, feste, eventi speciali, distinzione sociale ecc. Lucullo, militare e politico romano, passa alla storia diventando un aggettivo ancora attuale che allude a pasti ricchi, sfarzosi, succulenti, giganteschi.
La differenza sostanziale fra l’abbuffata e le abbuffate risiede proprio nella continuità compulsiva (della seconda) di consumare cibo in enorme quantità e in modo incontrollato, passando così sotto la voce di gravi disturbi alimentari (Binge Eating Disorder).
Tema che non ha perso di forza e dramma, soprattutto in una società moderna che fa del consumo uno dei propri tratti tipici.
L’aumento dei consumi in modo indiscriminato è provato sia una delle conseguenze negative del marketing e della pubblicità, così come un ruolo cruciale lo hanno guadagnato i social network. Insomma…tre influencers estremamente efficaci.
Nel caso specifico, per non allargare un discorso trasversale e senza confini, le piattaforme digitali sono oggi un gigantesco palcoscenico accessibile a tutti, attraverso il quale esternare pure disordini, sfide, disturbi…
Fenomenologia attuale, nata in Corea per sopperire a stati di solitudine ma ora virale, è il MUKBANG ovvero quando un utente mangia compulsivamente quantità spropositate di cibo (spesso junk) condividendo l’esperienza con i propri followers, a mezzo video.
E’ ancora viva, nella memoria di molti youtuber, la morte di un MUKBANGER italiano stroncato dall’infarto a 42 anni, 500mila followers e più di sessanta milioni di visualizzazioni, per vederlo mangiare “40 merendine assieme a un pollo rafforzante”. Pratica che certamente non ha aiutato la salute mentale e fisica nè compensato un disagio molto profondo.
Quanto vale avere questo palcoscenico effimero e spesso offensivo, ridicolizzante, ipocrita, fintamente lusinghiero, istigatore, che più o meno consapevolmente o irresponsabilmente ti spinge verso il baratro dandoti l’illusione di attenzionarti?
Quanta solitudine sociale e tragedia e mancanza di considerazione o d’affetto c’è dietro un buco nero del genere?
Quanta incapacità della gestione emotiva, della gestione del piacere, nell’accettazione di se anche attraverso la considerazione (malsana e finta) da parte dei followers c’è dentro di te, ancora irrisolta?
Sono urla inascoltate di attenzioni e bisogni?
I disastri sociali e le morti causate da questi fenomeni non sono più dei casi isolati, motivo per il quale il problema del rapporto col cibo è certamente una delle piaghe di questa epoca. Quantomeno nei casi di benessere-consumista in termini di “quantità e facilità di accesso al cibo”.
Non dimentichiamo mai, in aggiunta, che migliaia di followers dei MUKBANGER si traducono in dollari – facili- per gli stessi Creators.
Uno dei grandi nodi è quindi questa comunità virtuale responsabile di dare audience a disagi seri che contribuiscono nello sviluppare dipendenze e disordini alimentari soprattuto fra i più giovani spesso ignari, menefreghisti, fragilmente avidi, confusi sui valori, isolati socialmente, privi di sostegno, drogati digitali e non seguiti da professionisti che conoscono il dramma e sanno come intervenire per disinnescare questo circolo suicida.
Ecco che il cerchio vizioso si ciba dello stress e dell’ansia del creator MUKBANGER il quale arriva ad essere costretto nel mantenere alti: livello d’interesse, visualizzazioni, aspettative di un pubblico (spesso sciacallo), con l’ulteriore incidenza negativa di ingenerare nei più fragili possibile emulazione, i quali, pensano di trovare conforti, in loro assenti, usando questa pratica di condivisione autodistruttiva, che sarebbe invece da vietare.
Anche i termini odierni hanno una loro responsabilità. A volte nasce un linguaggio pericoloso, socialmente accettato.
FOODPORN è un neologismo-fenomeno nato un po’ di tempo fa, legato principalmente alla dilagante diffusione delle errate abitudini alimentari, origine di grandi obesità.
Oggi, in vetta agli hashtag mondiali usati nei social, sta cercando di cambiare pelle, provando ad estendere il proprio significato verso la qualità e non solo riferendosi a quantitativi sugosi, enormi, grassi, ricchissimi d’ingredienti goduriosi, per bocche giganti e lussuriose. Certo è che questo hashtag ha avuto e continua ad avere una evoluzione controversa. Tutto ormai deve stupire, per superare il tutto precedente…poco importa cosa si scatena di negativamente influente. L’obiettivo è essere notati, seguiti, laikizzati.
Il tema è complesso e difficile da maneggiare.
In queste pratiche squilibrate sono coinvolti aspetti sessuali, psicologici, sociali, personali, caratteriali, sostitutivi (vedere qualcuno mangiare al posto nostro dà soddisfazione…così si “mangia per procura”).
Le ricerche scientifiche sono piene di episodi gravi segnalati come comportamenti altamente distortivi scatenanti bulimia, disturbi psicologici, sociali, comportamentali ecc.
Meno, molto meno, niente o quasi, è invece evidenziato o stigmatizzato dai Creatori di piattaforme social…che fanno della interazione e delle visualizzazioni il proprio core business
Questo recente fenomeno umano non è altro che la parte negativa del profondo bisogno che abbiamo di socializzazione, considerazione, connessione.
L’ambiente virtuale può sopperire a tutte queste mancanze?
I like hanno la forza di “non far prendere posizioni etiche e umane” ad aziende che vivono degli stessi? Una bella contraddizione…Io, a volte, offeso da utenti per un punto di vista diverso, ho segnalato al garante del social la situazione, vedendomi rispondere che non reputavano l’offesa una violazione…evidente interesse a preferire le dinamiche di cui sopra.
Conclusione coscientemente ingenua è che le piattaforme social devono assumersi la responsabilità di ciò che pubblicano o avvallano in un ottica futura più etica, tutelante, meno avida e più costruttiva. Controllando e cassando contenuti (gravi) seppur condizionati dal Dio-like, che oggi ha il potere di sviluppare dopamina, fiducia, visibilità, influenza, autoesaltazione ecc. così come quello, per converso, di mortificare, ossessionare, far ammalare e perfino uccidere.