La struttura delle imprese in Italia

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Secondo uno studio del Cerved in Italia le grandi imprese con fatturato superiore a 50 milioni sono soltanto 800, quelle con un fatturato tra i 2 e i 50 milioni sono 163.000, le microimprese oltre 5,5 milioni, di cui circa 4,5 milioni sono contribuenti con Partita Iva tenuti alla compilazione degli Isa (Indici Sintetici di Affidabilità). Si tratta di un numero straordinariamente alto, che non ha riscontri nelle altre economie comparabili con la nostra.

Si tratta perlopiù di piccole, piccolissime e microimprese, la cui limitata dimensione costituisce una delle caratteristiche del nostro sistema produttivo.

Per lungo tempo si è ritenuto che questo fosse un modello vincente, fondamentalmente per la maggior elasticità e capacità di adattamento connaturata alle ridotte dimensioni dell’impresa. Ma il mondo è cambiato da tempo ed ultimamente in modo velocissimo: la creazione del valore aggiunto si è spostata definitivamente dalla produzione dell’output fisico alla produzione di tecnologia e know how. Il sistema produttivo del nostro paese pare non se ne sia accorto, e manca un progetto per modernizzarlo.

La frammentazione rispecchiata nei numeri esposti finisce per essere scarsamente efficiente per tutta una serie di motivi. Proviamo ad esaminarne due nel presente articolo: da un punto di vista fiscale da un punto di vista dell’efficienza.

L’aspetto fiscale. I contribuenti di ridottissime dimensioni sono soggetti ad una quantità di obblighi che non ha confronti nei paesi con i quali abitualmente ci confrontiamo e che alla fine costringe anche un’impresa con incassi irrisori, anche 1.000 € al mese, ad una serie di adempimenti burocratici contabili e fiscali che finiscono per ingessare la leggendaria supposta elasticità. Fa da contraltare a questo aspetto la circostanza che l’abnorme numero di contribuenti rende sostanzialmente impossibile un’efficace sistema di controllo; quindi: tanti contribuenti, tanta burocrazia, poco gettito, pochi controlli. Bisognerebbe avere il coraggio di introdurre regimi fiscali totalmente diversi provvedendo ad esempio una esenzione totale dagli obblighi contabili ed una tassazione iper semplificata sino ad una soglia abbastanza alta di incassi. Abbondano gli esempi in Europa di strutture simili e si potrebbe immaginare una soglia di ricavi fino a 100.000 euro annuali per ridurre drasticamente il numero dei contribuenti soggetti ad obblighi fiscali e restituendo agli altri un minimo di elasticità.

L’efficienza. Questa struttura è altrettanto inefficiente da un punto di vista della produttività e della capacità di cavalcare il progresso tecnologico. Le 800 grandi imprese Italiane in genere sono altamente competitive e abituate a competere nei mercati mondiali; le 160.000 medie imprese sono sostanzialmente imprese terziste, che lavorano per conto delle grandi imprese o nelle loro catene di valore, ma prive della possibilità di investire sufficientemente in ricerca e sviluppo per poter fare il salto di efficienza e competitività. La grandissima platea delle microimprese annaspa tra obblighi burocratici abnormi per le loro dimensioni, condannate ad una economia di sopravvivenza.

Concretamente cosa bisognerebbe fare? 1) Liberare dagli obblighi burocratici milioni di microimprese;2) agevolare i processi di aggregazione 3) Spingere gentilmente le imprese piccole e medie ad uscire da questo modello non più attuale favorendone l’accesso al mercato del capitale, soprattutto quello borsistico, per liberarle dalla sudditanza del credito bancario e dalla sottocapitalizzazione. Questo potrebbe innescare un circolo virtuoso di crescita complessiva dell’intero sistema produttivo. Ovviamente è un programma di lungo periodo che comporta anche un cambiamento di mentalità, ma credo che ben potrebbe essere posto alla base di un programma di governo che non sia alla ricerca dell’effimero consenso per la prossima elezione.