IL CALCIO PERDUTO

di


Riflessioni (amare) sullo sport nazionale.

Che il calcio italiano sia in crisi lo si vede da tempo, salvo qualche sprazzo dove le congiunzioni astrali sono dalla nostra.
Che le nostre nazionali siano deboli, lo si vede da tempo con le eliminazioni continue dagli eventi che contano.
Che il sistema federativo sia in evidente difficoltà, a ‘sto punto è un dato di fatto che solo orbi non vedono.
Che sia un amaro dato di fatto l’arrogante tendenza a non dimettersi dopo risultati catastrofici, pure di ciò ne abbiamo avuto ennesima prova a quest’ultimo Europeo.
E che il “calciatore medio moderno” tatuato più di un Maori, (nella cui cultura però il tatuaggio rappresentava storie visive di coraggio, spiritualità, appartenenza genealogica ecc.), badi più a una estetica distintiva che ai risultati, o all’osservanza dei valori tatuatisi, anche questa mi pare più una moda da contemporanei giganti di cartapesta che altro.
Il “calciatore medio moderno” non si fa scrupolo di andarsene a Ibiza a festeggiare un insuccesso imbarazzante (e farsi paparazzare su ogni media in pieno sguaiato divertimento), come nulla fosse, contrariando persino i valori della arcaica grande arte rappresentativa del tatuaggio appena citata, e di cui è pieno fino al pomo d’adamo. Figurarsi se si fa scrupolo di sentire la responsabilità della maglia e della bandiera.
Ecco che Fiere della Savana o della Giungla, suggestive frasi latine motivazionali dei Cesari, corone, nomi di battesimo che prendono tutto il torace con un ego che fa capoluogo di provincia, schiene sature di draghi allo stile Yakuza…diventano boomerang laddove mancano i principi fondanti lo sport che, volendone ricordare alcuni, sono ancora: motivazione, disciplina, vita morigerata, costanza, rispetto, risultato, etica, impegno, sacrificio ecc.
Dopo tanta premessa, Il lettore attento, ha capito che il fulcro del discorso non è il tatuaggio in se’, ma piuttosto un voler rappresentare valori indelebilmente dipinti che non esistono nei fatti. Perchè i fatti sono sostanza, responsabilità appunto, essenza, concretezza.
La grande domanda è : perchè allora? quale è il senso di rendere il proprio corpo una tavola da disegno che lancia messaggi e avvertimenti di ogni tipo di forza o di gigantismo per poi dimostrare così tanta debolezza? lassismo in diversi casi.
Azzardo una mia risposta da ex atleta professionista del 900, data la mia anagrafe, senza cadere nel drammatico luogo comune “si stava meglio quando si stava peggio…”
Partiamo dalla base della piramide avendo già, con voluta brevità, sfiorato in apertura il suo punto apicale:

  • I preziosi settori giovanili, un tempo bacino di tesori e scuola primaria di formazione, sono stati sottovalutati e via via abbandonati…come chiudere una scuola che funzionava…dando principalmente importanza al calcio internazionale legato alla PRIMA SQUADRA e al business calcio. Motivo per il quale non esiste un vero ricambio e successione interna a molte società di nuovi calciatori.
  • Gli allenatori moderni, EX e NON EX CALCIATORI, si sono generalmente formati secondo teorie apprese alla lavagna, in aula. Non so quanti di loro hanno respirato e vissuto l’ottica della partita importante da dentro il campo…molto forse dalla panchina, molto forse dall’aula, molto forse dalla tribuna, certamente troppa televisione e certamente tutta questa tendenza ha reso un gioco semplice troppo concettuale e strategico, manco si dovesse scendere a Marengo contro Napoleone Bonaparte.
    Acquisendo poi idee balzane su complicate teorie trigonometriche da riflettere in campo, con compasso, goniometro e birilli e sagome e ostacoli… iperallenando senza palla dei sedicenti atleti che ci si dimentica poi devono diventare dei calciatori, non degli olimpionici.
  • Le scuole calcio moderne si frequentano pagando delle quote di adesione. Generando un meccanismo pericoloso nel momento in cui, chi ha pagato, vuole maturare un diritto all’essere titolare-giocatore, sempre. Motivo per cui, spessissimo (complici pressioni e ingerenze genitoriali), si perdono di vista altri concetti sportivi e di vita importanti: la selezione secondo merito, la crescita del giovane, l’essere anche ingiustamente preferiti, il non dare nulla per garantito, la conquista e così via.
    Oltretutto ci mettiamo anche la trascuratezza nell’ insegnare le basi (abc) su come si mette il piede per calciare, per stoppare, per passare…e mille altri faticosi lavori sulle basi tecniche oggi dimenticati, obliando le miriadi di ore di duro allenamento al “muro”, caposaldo della formazione calcistica di una volta.
    Il calcio è un gioco semplice, che necessita di poche regole chiare per poter fare un gol in più dell’avversario. Non ha bisogno di superatleti superallenati, superalimentati, superbombardati di integratori, superpagati, superidolatrati perchè il concetto di super-uomo può far prendere derive pericolose…Agli allenatori come ai giocatori.
    Ma facciamola più semplice:
    Troppo denaro e privilegi di ogni tipo è evidente che incidano nel motivarti ad aumentare queste cose e meno a correre, sudare, sacrificarsi, andare a letto molto presto, condurre una vita da atleta non da star del Rock o da collezionista d’auto di lusso e dolce vita.
    A chi pensa che questo discorso possa nascondere invidia segnalo, per sua delusione, che quanto detto è una regola fondamentale del mindset sportivo. Si guardi alla vita dei veri campioni e si guardi alla vita di coloro i quali sono miracolati per un certo periodo. Vedrete che ci sono dei denominatori comportamentali simili ma molto diversi in ognuno dei due casi distinti.
    Ultimo, ma non ultimo aspetto di un argomento che potrebbe proseguire, voglio dire che:
    Un volta esisteva un mondo cosiddetto off-pitch, ovvero fuori dal rettangolo verde. Fatto di calcio scalzo, su ogni terreno improbabile, con vestiti improbabili, palloni improbabili e tantissima voglia di giocare…di poter arrivare a vestire una maglia, delle scarpe di cuoio coi tacchetti, di correre per la voglia di correre, di passione, di umiltà…e di dirigenti che tramandavano ai più giovani ciò che lo sport vero…fatto…sudato e senza, con pochi, o molti meno soldi, aveva loro insegnato in tutta la sua valenza ricca di quelle regole citate sopra.
    Tutto questo, concorreva alla formazione del carattere, all’affinamento delle tecniche, all’accettazione delle difficoltà, al comprendere il sacrificio per ambire a diventare un calciatore vero, solido e non una variopinta star dello spettacolo che usa lo sport per imbottirsi di ego e debolezze, che fatalmente emergono bruciandoti in fretta.
    Il cambio dei tempi è inarrestabile e , giusto o meno, è così…ma la storia, quando insegna qualcosa, serve per conservare e prender d’esempio ciò che di buono si è visto funzionare.